• Non ci sono risultati.

1Sezione di Medicina Umanistica, Dipartimento di Scienze Cardio-Toraco-Vascolari e Sanità Pubblica, Università di Padova,

Padova; 2UOC di Patologia Cardiovascolare, Dipartimento di Scienze Cardio-Toraco-Vascolari e Sanità Pubblica, Università di

Padova, Padova; 3Centro d’Ateneo per i Musei (CAM), Università di Padova, Padova

Medicina Historica 2020; Vol. 4, Suppl 1: 67-69 © Mattioli 1885

S t o r i a d e l l a s a n i t à p u b b l i c a

Al giorno d’oggi sono ben noti il valore e l’utilità dell’esercizio fisico nella prevenzione degli eventi car- dio-vascolari e il proficuo impiego dell’esercizio stesso nella riabilitazione cardiologica (1-4). Ai pazienti car- diopatici si prescrive l’attività di endurance, cioè ae- robica dinamica, che si esplica attraverso camminate, marce e corse, o l’impiego di bicicletta o di cyclette e con la precisa indicazione di modularne l’intensità. Quest’ultima, regolata dall’opportuna valutazione me- dica, dovrebbe convenientemente attestarsi in un range dal lieve al moderato.

L’esercizio fisico aerobico-dinamico permette, in generale, di instaurare delle modificazioni anatomico- funzionali dell’apparato cardiovascolare che potremmo definire “virtuose” ossia le cosiddette risposte adattati- ve ad uno stimolo fisiologico che includono l’ipertrofia cardiaca (diversa da quella patologica) e la bradicardia (cuore d’atleta), e il rimodellamento delle arterie (ar- teria d’atleta) a cui corrisponde anche l’aumento della perfusione miocardica (2).

I benefici indotti dall’esercizio fisico si riverbera- no sulla qualità della vita, il cui buon mantenimento rappresenta il fine ultimo dell’attività fisica nei pazienti cardiopatici.

Agli inizi del Novecento, nell’ambito della cosid- detta “terapia fisica”, veniva annoverata anche la gin- nastica cardiaca terapeutica ossia l’esercizio fisico per i “cardiopazienti”. Questa, secondo il dottor Giulio Moglie, direttore sanitario dell’Istituto idro-elettrote- rapico Bernini, si applicava non già in tutti i malati di cuore, ma preferibilmente in quelli in cui il miocar- dio presentava ancora una discreta capacità contrattile e solo una eventuale, assai modesta, alterazione della

circolazione coronarica. La ginnastica nelle cardiopatie era ritenuta vantaggiosa, sottolinea il Moglie, in pa- zienti “con apparato muscolare debole e mai esercitato, colpiti da incipienti fenomeni di debolezza cardiaca” e in soggetti obesi “con cuore e muscoli fiacchi, senza lesione organica del miocardio”. Era inoltre indica- ta “nelle cardiopatie organiche dei soggetti adiposi e provvisti di una muscolatura debole – purché l’eserci- zio sia fatto [sic !] con grande precauzione –” e nelle persone convalescenti “di disturbi cardiaci ben curati e del tutto scomparsi” (5). All’epoca si riteneva che il ra- zionale della ginnastica nei cardiopatici consistesse nel fatto che “in modo indiretto l’attività fisica dei muscoli – scrisse il Moglie – può riuscire utile, rendendo mi- nore la fatica muscolare e quella cardiaca, e quindi rap- presentando una specie di profilassi per una sopravve- niente insufficienza” (5). Le cure ginniche nei pazienti cardiologici trovavano, invece, controindicazione as- soluta nell’insufficienza cardiaca avanzata, nell’angina pectoris severa, nella malattia tromboembolica, negli aneurismi, nelle endocarditi, in caso di emorragie ce- rebrali e di manifestazioni sintomatologiche cardiache che insorgevano nell’esecuzione del semplice lavoro muscolare quotidiano (5).

Il dottor Herz, coautore dell’opera Lexicon di Te- rapia fisica (edizione italiana del 1904) curata da An- ton Bum (1856-1926), descrisse alla voce “Ginnastica cardiaca” i vari metodi in uso all’epoca per lo svolgi- mento dell’esercizio fisico terapeutico a favore del cuore. Vennero menzionati il metodo di Ling, quello di Wide, quello della “prudenza estrema” dei fratelli Schott, quello di Zander e l’assai dibattuto metodo di Oertel (6). In particolare, quest’ultimo, si basava sull’e-

A. Cozza, M. Rippa Bonati, F. Zampieri, et al.

68

secuzione di passeggiate in piano per poi passare alla marcia, alle camminate in salita e, infine, alle vere e proprie ascensioni di rilievi. Era previsto inoltre uno “scarico del circolo sanguigno” da ottenere attraverso la diminuzione della componente acquosa del sangue. Il metodo si completava, infine, con un regime dietetico indirizzato a far ridurre il più possibile la riserva adi- posa dell’individuo. Questo procedimento ammetteva e non declinava, tuttavia, l’insorgenza della tachicardia e della dispnea che potevano compromettere la salute del paziente (6). L’Herz, dopo aver passato in rassegna le varie tipologie di movimenti (attivi e passivi, di acce- lerazione, auto-inibiti) e le loro sottocategorie, descris- se le applicazioni della ginnastica cardiaca nelle varie malattie di interesse cardiologico. Essa trovava impie- go nei vizi valvolari come l’insufficienza e la stenosi delle valvole mitralica e aortica, nelle malattie del mio- cardio quali il “cuore grasso”, “l’ipertrofia idiopatica del cuore (cuore degli alcolisti)” e la “degenerazione del miocardio” patologia nella quale si doveva “combattere la insufficienza del cuore, che caratterizzava lo stadio finale di tutti i vizi cardiaci”. Specifici movimenti era- no suggeriti, infine, nelle cosiddette nevrosi cardiache in particolare nel “cardiopalmo nervoso”, nella tachi- cardia parossistica e nell’angina pectoris. In queste ultime due affezioni erano indicate anche inspirazioni profonde che avrebbero potuto bloccare la manifesta- zione delle affezioni stesse (6).

Il dottor Ferdinando Battistini (1867-1920) do- cente di Patologia Medica all’Università di Torino, nella sua opera “Nuove cure per i malati di cuore”, rifletté sull’impiego dell’ “esercizio della bicicletta pei cardiopatici” presentandone i punti di vista dei medici dell’epoca (7). I pareri riportati dal Battistini si divi- devano tra l’entusiasmo di alcuni e la cautela di altri. Egli evidenziava che “le applicazioni della bicicletta per la cura delle cardiopatie sono molto discutibili ed è piuttosto importante lo stabilire in quali casi que- sto esercizio possa essere permesso”. Riassumendo le diverse opinioni dei clinici suoi contemporanei, Bat- tistini riteneva che l’impiego della bicicletta avesse controindicazioni assolute nelle fasi avanzate di cuore grasso accompagnate da degenerazione miocardica e dilatazione delle camere cardiache, nei vizi valvolari

scompensati, in soggetti obesi e anemici con disturbi di circolo e arteriosclerosi, “nell’ateroma e nell’arterio- sclerosi, nell’insufficienza aortica, nell’ateroma delle arterie coronarie, nei casi di polso lento permanente e di tachicardia parossistica, come pure nell’età seni- le” (7). Altre controindicazioni erano rappresentate da “impermeabilità delle fosse nasali” che avrebbero co- stretto il paziente a respirare, in maniera insufficiente, attraverso la bocca. L’utilizzo della bicicletta era, vi- ceversa, raccomandato in soggetti giovani, sedentari e tendenti all’obesità e moderatamente consentito in pazienti con vizi mitralici in fase di compenso (7).

Il dottor Leone Minervini, medico della Clinica Capozzi di Napoli, congiuntamente agli esercizi di tipo dinamico, da parte sua, proponeva ai cardiopati- ci anche il riposo, da intendersi come un “momento” imprescindibile della terapia fisica del cuore. In parti- colare, prendendo spunto dalla propria attività clinica, testimoniava come pazienti iposistolici avessero trova- to particolare giovamento dal riposo e dalla dieta lattea tanto da aver sbilanciato il clinico ad affermare che “il riposo è la digitale del cuore” (8).

Non dimentichiamo che il riposo, almeno fino agli inizi degli anni Ottanta del secolo scorso, quando si innescò una rivalutazione delle potenzialità terapeu- tiche dell’esercizio fisico, ha rappresentato per molti pazienti - e in particolare per una gran parte di quelli cardiologici - una delle principali prescrizioni da parte dei medici (1).

L’evoluzione delle conoscenze della fisiologia e della fisiopatologia dell’esercizio fisico permette, oggi- giorno, una corretta e proficua applicazione terapeuti- ca di quest’ultimo anche in ambito cardiologico. Una delle “regole” fondamentali di tale applicazione riguar- da l’intensità dell’esercizio stesso la quale costituisce il principale fattore di rischio per il paziente in cardio- riabilitazione (2, 3). Questo principio relativo all’in- tensità dell’esercizio ha, tuttavia, un retaggio piuttosto consolidato come testimoniato dalle parole del soprac- citato dottor Moglie: “massima fondamentale per la tecnica della ginnastica cardiaca è che il paziente non deve dar segno alcuno di affaticamento e tanto meno di stanchezza, non deve divenir dispnoico, non conge- sto, non aver vertigini” (5).

L’esercizio fisico per i cardiopatici di primo Novecento 69

Bibliografia

1. Temporelli PL. Attività fisica (moderata) e benessere cardio- vascolare. Chi si ferma è perduto! G Ital Cardiol 2016;17:176- 80.

2. Damiani E. Fisiopatologia generale per Medicina e Chirur- gia. Padova: Cleup; 2019.

3. Dalla Volta S, Anzulović Mirosević D. Manuale delle ma- lattie del cuore e dei vasi per medici di medicina generale. Padova: Cleup; 2017.

4. Galati A, Vigorito C. (eds) Riabilitazione cardiologica. Mila- no: Edi.Ermes; 2012.

5. Moglie G. La Terapia Fisica. Teoria e applicazioni. Roma: Amministrazione del Policlinico; 1904.

6. Bum A. (eds) Lexicon di Terapia fisica. Milano: Casa Editrice Dottor Francesco Vallardi; sd [1904].

7. Battistini F. Nuove cure per malati di cuore. Torino: Unione Tipografico-Editrice; 1902.

8. Minervini L. Manuale di terapia fisica del cuore. Milano: Ul- rico Hoepli: 1909.

Corrispondenza: Andrea Cozza

Dipartimento di Scienze Cardio-Toraco-Vascolari e Sanità Pubblica

Università di Padova, Padova E-mail: andrea.cozza@phd.unipd.it

La pandemia influenzale del 1918: l’impatto della “Spagnola”

Outline

Documenti correlati