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Università di Milano-Bicocca, Milano

Medicina Historica 2020; Vol. 4, Suppl 1: 148-149 © Mattioli 1885

S t o r i a d e l l a M e d i c i n a d e l L a v o r o

Il mio intervento ha per tema il ruolo che ha po- tuto svolgere l’esperienza del cantiere del Sempione nel sorgere di quei due nuovi rami della medicina della fine del XIX secolo che sono la medicina del lavoro, nel senso che ad esso dava Luigi Devoto come clinica delle malattie professionali e, d’altro lato, la medicina socia- le e preventiva, disciplina simbiotica con quell’igiene industriale di cui Luigi Pagliani è stato il maggior pro- motore in Italia.

Quale di questi due ambiti ha maggiormente be- neficiato della eccezionale vicenda del Sempione? La mia intenzione è di spostare l’attenzione da questa bi- forcazione tra patologia delle malattie professionali e igiene industriale e candidare invece a principale erede del Sempione una terza forma di sapere sanitario la cui professionalizzazione nasce all’indomani della grande opera di cui mi occupo, ossia l’ingegneria sanitaria.

Il dato di fatto da cui prendere le mosse sono i prospetti statistici pubblicati nel libro “Condizioni igieniche e sanitarie dei lavori del Sempione” (1), dal dottor Volante, il medico del piccolo ospedale del can- tiere sud del traforo. Accanto ai 67 decessi per infor- tuni, quelli per malattia nell’arco di sette anni, sono 59. Di questi neanche uno dovuto all’anchilostoma. In compenso undici decessi per broncopolmonite e le malattie respiratorie di gran lunga al primo posto nella classifica delle cause di ricovero.

È la vittoria totale contro l’anchilostomiasi grazie, si sa, alle misure profilattiche rigorosamente adottate, ad avere messo il traforo del Sempione agli onori della storia della medicina del lavoro. Un successo che nien- te potrebbe sminuire, ma anche prevedibile, da quan- do l’individuazione del parassita e dell’eziologia della malattia dei minatori avevano fatto conoscere tutto del nemico da combattere e di come averne ragione.

L’incubo dei lavori in galleria, al Sempione, non era più quello. La nuova sfida da affrontare era il calore sotter- raneo, ossia la temperatura e di umidità da attendersi nello scavo della prima galleria di base della storia, ad un’altitudine mai così bassa sotto le Alpi.

Mentre i treni della linea del Gottardo dovevano arrampicarsi fino ai 1.100 metri di altitudine di Airolo, e quelli della linea del Fréjus addirittura fino alla quota di 1.300 metri di Bardonecchia, la galleria del Sem- pione era come una linea di pianura, con un’altitudine massima di 700 metri nel punto più elevato tra Briga e Iselle. Ma passare ai piedi delle Alpi comportava di attraversarle con un tunnel di 20 chilometri sovrastato da spessore di montagna di grande estensione, fino a 2160 metri di strati di roccia. Aprirvi dei pozzi ver- ticali di areazione come nelle miniere era impossibile e si poneva inoltre l’enigma del gradiente geotermico, ossia della temperatura sotterranea sotto uno spessore di roccia così.

Nelle grotte nei pozzi, fisici sperimentali come Arago e Alexander von Humboldt avevano misura- to incrementi di 1°C ogni 30 metri di profondità: al Fréjus, però, sotto 1600 metri di roccia, la temperatura era arrivata a 29,5°C, meno della metà di quel coeffi- ciente. Al Gottardo, sotto 1700 metri di montagna, era di 32°C, pari all’aumento di 1°C ogni 48 metri.

Sotto le montagne il gradiente geotermico cresce- va dunque meno del previsto, ciò che veniva spiegato con la dispersione di calore dovuta ai profili frastaglia- ti dei monti, la presenza di ghiacciai e le temperature atmosferiche più basse. Ma nel dibattito sul traforo del Sempione e la sua galleria di base in aperta con- correnza al Gottardo, la questione termica assunse un peso cruciale. Friedrich Moritz Stapff, il geologo della Compagnia del Gottardo, armandosi di formule alge-

Agli albori dell’ingegneria sanitaria: il traforo del Sempione 149

briche basate su dati altimetrici e topografiche calcola- va per il Sempione temperature proibitive dell’ordine di 47°C (2).

Il tasso di umidità, poi, era un’aggravante. Ai la- vori Gottardo si era infatti riscontrato che a 30°C si manifestavano a causa dell’umidità sensazioni di sof- focamento. Lo stesso igienista Luigi Pagliani l’aveva osservato su di sé rimanendo per due giorni diverse ore nella galleria in costruzione: a cinque chilometri dall’imbocco, con temperatura di 34°C e un tasso di umidità del 90%, la sua frequenza cardiaca aumentava da 96 a 155 pulsazioni e il respiro accelerava da 20 a 24 aspirazioni al minuto (3).

È per questa serie di motivi che il progetto del- la galleria del Sempione, lunga 20 chilometri, adotta nuovo metodo costruttivo a due gallerie parallele, l’una principale e l’altra di servizio, comunicanti ogni due- cento metri attraverso un cunicolo trasversale. Ciò che rendeva il cantiere un sistema aperto di circolazione d’aria e pensato per una ventilazione forzata di gran- de potenza. Quest’ultima venne applicata a partire dal 1900 con due coppie di ventilatori di quattro metri di diametro e azionati ai due ingressi del tunnel da tur- bine da 200 cv, in grado di immettere nella galleria, o di aspirare, fino a 50 m3 d’aria al 1”, cinque volte più di

quella ottenuta con i ventilatori utilizzati ai lavori del tunnel del Gottardo.

In realtà si constatò che al Sempione la tempera- tura non cresceva affatto linearmente, ma con picchi improvvisi di calore causati da grandi sorgenti termali bollente alimentati dalla risalita delle acque sotterra- nee. Nel 1901, dopo che la perforazione sul lato sviz- zero era avanzata per sei chilometri, la sola ventilazio- ne si rivelò insufficiente a mitigare temperature della roccia di 40°C e finanche di 56°C.

Furono sperimentati sistemi di raffreddamento mediante ghiaccio, rivelatisi del tutto inefficaci, e di irrorazione di acqua nebulizzata, grazie a batterie di iniettori che creavano ventaglio di spruzzi oppure veli d’acqua capaci di sottrarre all’aria spinta dai ventilatori parte del suo calore. A un certo punto anche questo non bastò più. Agli ingegneri non restò che inondare il fondo del tunnel con un flusso di 70 litri d’acqua fredda al 1”. La temperature scese da 45 a 30°C: ben lontano dal limite massimo di 25°C che nel 1889 il Consiglio Federale Svizzero aveva fissato nelle clau-

sole contrattuali del traforo (1). L’impresa costruttrice, nei periodi di temperature più elevate, finì per ridurre i turni di lavoro da otto a sei ore e anche a quattro.

Questa sfida impari contro le alte temperature, vinta solo in parte, mi sembra indicare in quale direzio- ne la grande esperienza del Sempione poteva esercita- re in primo luogo la sua influenza in ambito sanitario, rappresentare un laboratorio, diventare un modello.

Per quanto riguarda l’Italia, a Milano, capolinea della ferrovia del Sempione e dove le vicissitudini del traforo erano seguite con grandissima attenzione, a un anno dall’inizio dei lavori, l’Istituto tecnico superiore creava una cattedra intitolata “Principi di igiene ap- plicata all’ingegneria”, la prima del genere in Italia. A ricoprirla era il medico capo del Comune, il batterio- logo Guido Bordoni Uffreduzzi, che a sua volta aveva fondato in seno all’Ufficio d’igiene una speciale sezio- ne chiamata Ingegneria sanitaria, il cui organico arrivò a contare nel 1922 tre ingegneri, sei assistenti, quindici impiegati e quattro vigili sanitari (4). Un nuovo ramo della sanità.

Nel 1902, nel Regolamento d’igiene del Comune di Milano elaborato da Bordoni Uffreduzzi ben nove articoli trattavano per la prima volta di salubrità de- gli stabilimenti industriali. L’articolo 107 imponeva la ventilazione meccanica di quelli con sviluppo di polve- ri ed esalazioni e l’articolo 109 disponeva l’istallazione di docce per gli operai, anche questa un’innovazione del Sempione allora molto ammirata, e ancor oggi la più famosa.

Bibliografia

1. Volante G. Condizioni igieniche e sanitarie dei lavori del Sempione (ed. an.). Milano: Lampi di stampa; 2012. 2. Stappf FM. Étude sur l’influence de la chaleur de l’intérieur

de la Terre et sur la possibilité de tunnels dans les hautes mon- tagnes. Revue universelle des mines, de la métallurgie, de la mécanique et des arts appliqués à l’industrie 1879-1880; 68. 3. Pagliani L. Sulle condizioni igieniche e sanitarie dei lavori del

Traforo del Sempione. L’ingegnere igienista 1900; n. 1 e 4. 4. Peracchi L. L’igiene applicata all’ingegneria. Milano città del-

le scienze (www.milanocittadellescienze.it). Corrispondenza:

Pietro Redondi

Università di Milano-Bicocca, edificio U6, Milano E-mail: pietro.redondi@unimib.it

Un’esperienza lombarda. Nascita e sviluppo delle Unità

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