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Dipartimento di Studi storici, Università degli Studi Milano, Milano

Medicina Historica 2020; Vol. 4, Suppl 1: 40-42 © Mattioli 1885

S t o r i a d e l l a s a n i t à p u b b l i c a

La storiografia ha spesso sottolineato il ruolo su- balterno svolto dai medici nell’ordinamento sanitario dell’Italia liberale. Gli studiosi che si sono occupati della pubblica amministrazione del secondo Ottocento (1), così come quelli che hanno affrontato più diret- tamente la storia della professione medica o dell’as- sistenza sanitaria (2), hanno solitamente individuato nel prefetto la principale sede del potere decisionale in campo sanitario. Un’analisi adeguata dell’ordinamento sanitario richiede, tuttavia, una sua contestualizzazione nel più ampio scenario che caratterizzò i rapporti tra istituzioni e società nell’Italia liberale: scenario effica- cemente definito da Romanelli con il termine «cen- tralismo debole» (3). Il «centralismo debole» implicava uno stimolo e una sollecitazione del centro governativo sulle province, al fine di sospingere le arretrate ed ete- rogenee periferie lungo percorsi di modernizzazione e uniformazione sociale e normativa. Un impulso me- diato da un blando dispositivo di controllo, che nel dar seguito alle indicazioni provenienti dalle autorità cen- trali creava un’ampia area di negoziazione con le élites politiche e sociali presenti sui territori.

Il settore sanitario era parte integrante di tale si- stema. Nell’Italia postunitaria la sanità pubblica era regolata dall’Allegato C alla legge per l’unificazione amministrativa del Regno, promulgata il 20 marzo 1865, che riproponeva, quasi letteralmente, il Rd 20 novembre 1859 n. 3793, a sua volta modellato sulla precedente normativa sabauda introdotta tra il 1847 e il 1849 (4). L’allegato C, che contò due successivi regolamenti attuativi, non contemplava la presenza di funzionari tecnici nella pubblica amministrazione,

ma istituiva commissioni sanitarie, dotate di poteri esclusivamente consultivi e propositivi, a ogni livello di governo (comuni, sottoprefetture, prefetture e go- verno centrale). Esso attribuiva l’intervento sanitario prevalentemente ai comuni, i quali dovevano compila- re propri regolamenti d’igiene municipale e stipendiare medici condotti per fornire assistenza gratuita ai po- veri, mentre prevedeva una diretta intromissione dello Stato centrale unicamente nel caso di epidemie (5). I governi liberali preferirono quindi appoggiarsi alle éli- tes mediche e scientifiche presenti nelle province del Regno piuttosto che inserire personale medico nei ran- ghi della pubblica amministrazione.

I Consigli sanitari provinciali (CSP) divennero così la principale sede di mediazione tra centro e peri- ferie. Formati dai più autorevoli membri dell’élite me- dica e scientifica locale (professori universitari, primari e direttori di nosocomi, ma anche docenti di licei e scuole tecniche), essi erano gli unici organismi tecnici consultabili dai prefetti in grado di valutare nel meri- to i numerosi provvedimenti sanitari da implementa- re. Il loro potere coattivo e di normazione fu quindi significativo, soprattutto nelle province ove l’autorità prefettizia non aveva la possibilità di appellarsi a inter- locutori terzi, quali università o istituzioni scientifiche, onde ottenere pareri alternativi. Tale situazione ebbe importanti conseguenze, poiché all’indomani dell’U- nità le scienze mediche e le pratiche sanitarie non era- no ancora definite in base a criteri precisi e principi comuni (6). I membri dei CSP erano, infatti, eredi di distinte tradizioni scientifiche, costruite e sedimentate in periodo preunitario e spesso sostenitrici di soluzioni

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sanitarie discordi o antitetiche. Nell’atto di sostanziare a livello locale le indicazioni provenienti dal governo centrale, i CSP finivano così con l’adottare provve- dimenti tutt’altro che omogenei. Il sistema sanitario emerso dal processo unitario si configurò, quindi, come un compromesso tra la struttura degli apparati statali e amministrativi ereditata dal Piemonte sabaudo, da un lato, e le pratiche di governo della sanità pubblica prevalenti nei diversi territori della penisola, dall’altro.

La Commissione Ricasoli

L’epidemia di colera del 1865-66 rese evidente l’impossibilità del governo di fornire una chiara e uni- voca strategia di contrasto alla malattia e convinse il Parlamento della necessità di una revisione comples- siva dell’ordinamento sanitario, nonostante la recente approvazione dell’Allegato C. Nel settembre 1866 il ministro dell’Interno Ricasoli decise quindi di nomi- nare un’apposita «Commissione per la riforma della legislazione sanitaria». Costituita in modo da garantire la rappresentanza delle diverse regioni della penisola, la Commissione operò fino alla fine del 1870, artico- landosi in sottocommissioni e approfondendo i più svariati aspetti della legislazione sanitaria: dall’ordina- mento istituzionale alla regolamentazione di farmacie e cimiteri, dall’esercizio dei medici stranieri alle vacci- nazioni, dalla profilassi della sifilide alla farmacopea. Essa costituì così un fondamentale momento di con- fronto tra le diverse tradizioni scientifiche diffuse nel Paese di recente unificazione.

La discussione principale concernette se attribuire poteri decisionali ed esecutivi ai consigli sanitari, come sostenuto da Cannizzaro e Mantegazza, oppure se man- tenerne la funzione consultiva, come suggerito dai due presidenti che si susseguirono ai vertici della Commis- sione, Burci e Bufalini. Quest’ultimo, in particolare, ricordava che lo scopo della Commissione era «discu- tere la somma base dell’ordinamento, che a suo parere consiste nel determinare i limiti dell’uffizio della scienza nelle cose sanitarie, e dove essa debba cedere il luogo all’Amministrazione e al Potere che deve eseguire» (7). Egli reputava infatti «impossibile dare alla scienza altri incarichi esecutivi in fatto di sanità, se non quelli che valgano a procurarle i mezzi di esercitare l’uffizio suo meramente consultivo» (8). La questione era stretta-

mente connessa alla possibilità, tutt’altro che remota, che i consigli sanitari offrissero pareri contrastanti sulle misure da adottarsi in caso di epidemia. Il conferimento di poteri esclusivamente consultivi, riservando la potestà esecutiva alle autorità civili, se da un lato relegava in po- sizione subalterna il personale medico e tecnico, dall’al- tro offriva migliori garanzie riguardo all’uniformità dell’intervento sanitario su tutto il territorio nazionale.

Nonostante le importanti divergenze interne, la Commissione riuscì a elaborare un progetto di «Codi- ce sanitario», che nel 1870 presentò al ministro Lanza affinché lo sottoponesse all’approvazione del Parla- mento (9). Il Codice sanitario conservava ai Consigli sanitari provinciali poteri esclusivamente consultivi, mentre al Consiglio superiore di sanità era conferito il potere di promulgare pareri con valore extragiudi- ziale. Nei comuni fu prevista l’introduzione per legge dei Consigli municipali di sanità, fino ad allora esisten- ti solo in virtù del Regolamento generale. Il progetto contemplava inoltre significative aperture sociali, con la tutela del lavoro dei fanciulli e la regolamentazione delle industrie insalubri, e una riforma della statistica sanitaria. Precisava infine i contenuti dei Regolamenti d’igiene municipale e proponeva la trasformazione dei medici condotti in ufficiali governativi, sebbene ancora stipendiati dai comuni.

Il Senato avviò la discussione del Codice sanita- rio nel novembre 1872, ma l’iter approvativo si rivelò particolarmente deludente. Il progetto fu infatti dura- mente criticato per non aver previsto né la presenza di funzionari medici nella pubblica amministrazione né l’attribuzione di poteri esecutivi ai consigli sanita- ri. Ottenuto comunque un voto favorevole nel maggio successivo, il testo fu presentato alla Camera ma, a cau- sa delle perduranti censure, non fu posto in discussio- ne. Ripresentato dal ministro Nicotera nel 1876, dopo avervi stralciato gli articoli contenenti le maggiori in- novazioni sociali, anche in quell’occasione non conse- guì l’approvazione del Parlamento.

Conclusioni

L’operato della Commissione Ricasoli fu minato dai contrasti e dalle lungaggini prodotte dai mutevoli indirizzi forniti dai ministri che negli anni si sussegui- rono alla guida del Dicastero. La questione maggior-

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mente controversa, l’attribuzione o meno di poteri ese- cutivi ai consigli sanitari, fu così risolta senza alterare la situazione vigente. L’esistenza di molteplici tradizioni scientifiche nella penisola rese infatti impossibile im- maginare un sistema sanitario capace di contemplare la presenza di funzionari tecnici nella pubblica am- ministrazione. Il problema fondamentale era infatti come integrare figure di questo tipo, e in particolare le loro deliberazioni, nell’ordinamento del nuovo Sta- to liberale: uno Stato che, per definizione, concepiva il potere esecutivo come espressione di una volontà uni- ca e accentrata. La soluzione a tale problema arriverà solamente nel 1888, quando il governo Crispi, oltre a riordinare il sistema sanitario, procedette a formare in modo diretto e centralizzato i funzionari da inviare nelle province, così da sopravanzare le élites scientifi- che presenti sul territorio e i loro orientamenti diver- genti nell’amministrazione della sanità.

Bibliografia

1. Tarozzi F. L’ordinamento prima della legge 22 dicembre 1888, n. 5849. In Pancino C. (ed.) L’organizzazione pubblica della sanità. Archivio ISAP, n 6. Milano: Giuffrè; 1990:495-527.

2. Soresina M. I medici tra Stato e società. Studi su professione medica e sanità pubblica nell’Italia contemporanea. Milano: FrancoAngeli; 1998.

3. Romanelli R. Il comando impossibile. Stato e società nell’Ita- lia liberale. Bologna: il Mulino; 1995.

4. Soresina M. Sanità pubblica (Allegato C). Amministrare 2015; 1:179-224.

5. Della Peruta F. Sanità pubblica e legislazione sanitaria, dall’Unità a Crispi. Studi storici 1980; 4:713-59.

6. Cosmacini G. Storia della medicina e della sanità in Italia. Roma-Bari: Laterza; 2005.

7. Commissione per la riforma della legislazione sanitaria. Pro- cessi verbali delle adunanze. s.l.; s.d.: 18.

8. Commissione per la riforma della legislazione sanitaria. Pro- cessi verbali delle adunanze. s.l.; s.d.: 30.

9. Commissione per la riforma della legislazione sanitaria. Re- lazione a S. E. Giovanni Lanza Ministro dell’Interno sul pro- getto di codice sanitario. Firenze: Tip. Belle Arti; 1870.

Corrispondenza: Roberto Cea

Dipartimento di Studi storici Università degli Studi Milano, Milano E-mail: [email protected]

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