ENEA – Agenzia Nazionale per l’energia, le nuove tecnologie e lo sviluppo economico sostenibile, Roma
Medicina Historica 2020; Vol. 4, Suppl 1: 142-144 © Mattioli 1885
S t o r i a d e l l a M e d i c i n a d e l L a v o r o
New York, sabato 25 marzo 1911
Nel pomeriggio alle 16.40 una strage di 141 gio- vani emigrate, di cui 41 italiane, entra nella storia ame- ricana per le nuove norme sulla sicurezza. In Italia solo echi ne La Stampa: “Uno spaventoso incendio a New York” e nel Corriere della sera: “Le vittime dell’incen- dio di New York sono in gran parte italiane” di Lunedì 27 marzo 1911.
La strage viene ignorata nel III Congresso nazio- nale per le malattie del lavoro di Torino nell’ottobre 1911 e nel successivo Congresso di Roma del 1913. Nessun riferimento nella rivista “Il Lavoro” di Lui- gi Devoto che pure pubblica un articolo del medico Antonio Stella sulla tubercolosi tra le stesse immigra- te a Manhattan. Neanche Irene de Bonis de Baroni de’ Nobili, inviata negli Stati Uniti d’America (USA) nell’agosto del 1911 per indagare sulla protezione delle donne e dei fanciulli immigrati, riporta testimonianza nel resoconto del viaggio e nella comunicazione “Di alcune malattie professionali delle donne”. Stessa in- visibilità nei numerosi scritti di Amy Bernardy (1879- 1959), giornalista italo-americana, incaricata dal Mi- nistero degli affari esteri per lo studio della condizione di donne e bambini emigrati negli USA. Nel suo libro “Italia randagia attraverso gli Stati Uniti” (1913) ri- porta un’altra strage con 362 morti di cui 171 italiani dal Molise, Calabria e Abruzzo, quella della miniera di carbone di Monongah (Virginia) del 6 dicembre 1907. La strage di New York non compare nel Congresso in- ternazionale delle donne (ICW) organizzato a Roma nel 1914 e nella relazione del Comitato sull’emigra-
zione e immigrazione delle donne presieduto da Maria Lisa Danieli Camozzi (1). Perché?
Nel 1915 l’ICW organizza, grazie all’impegno di due premi Nobel per la pace Jane Addams (1860- 1935) e Emily Green Balch (1867-1961), un congres- so a L’Aia per mobilitare le donne e i governi contro l’entrata in guerra. Tra le protagoniste Alice Hamilton (1869-1970) medico del lavoro, la prima donna me- dico olandese Aletta Henriëtte Jacobs (1854 –1929), Rosika Schwimmer (1877-1948) e l’italiana Rosa Ge- noni (1867-1954). Alice Hamilton si reca nelle capitali europee e descrive il clima ormai interventista di Mi- lano e “… A Roma ci ha riempito di terrore pensare a come sarà tra pochi mesi con mutilati, ciechi, vedove, orfani e profughi affamati” (2). L’Italia era entrata in guerra pochi giorni prima il 24 maggio del 1915.
Le donne nella Mobilitazione Industriale, 1916
Il Governo Salandra affronta lo sforzo produttivo bellico con la Mobilitazione Industriale (MI). La ri- conversione produttiva coinvolge quasi tutte le azien- de a cominciare dalle più grandi: la Breda, la Fiat, la Bagnara, la Piaggio, la Tabanelli di Roma e altre. Il personale viene militarizzato con divieto di sciopero e agitazioni, divieto di licenziarsi, contratti e salari bloc- cati. Obiettivo è ottenere il massimo rendimento an- che con la nuova organizzazione taylorista del lavoro. La carenza di addetti orienta la MI verso manodopera non qualificata, a basso costo, largamente disponibile: donne e minori (3). Le donne erano maggioranza nelle
La prima guerra mondiale cambia il lavoro femminile 143
industrie italiane, come riportato da Anna Kuliscioff nel 1889 (4) ma il lavoro femminile ora si estende an- che alle industrie di produzione bellica. Le prime lau- reate in medicina diventano ufficiali militari, tra queste Livia Lollini (1889-?) specializzata in medicina del lavoro presso la Clinica del lavoro Luigi Devoto (5), Clinica attiva nell’assistere le lavoratrici (6).
Nell’agosto del 1916 viene approvata una Circola- re ministeriale con l’obiettivo di raggiungere il 50% di donne e minori nelle fabbriche di proiettili di piccolo e medio calibro. Il sindacato esprime parere favorevole con Bruno Buozzi per “eque condizioni di lavoro” quali orario di lavoro di 8 ore, sale di riposo, refettori, sale di allattamento, lavatoi, spogliatoi e latrine separate, a parità di lavoro cottimi uguali per le donne. A ottobre il deputato Angiolo Cabrini presenta una mozione per assicurare adeguate condizioni di lavoro per le donne nelle industrie di munizionamento. Filippo Turati at- tiva diverse interrogazioni parlamentari con la richie- sta di ripristinare la sospesa legge di tutela del lavoro delle donne nell’industria bellica così come l’ Unione femminile e la Cassa Maternità di Milano (3). Tante interrogazioni parlamentari mostrano le precarie con- dizioni di lavoro delle donne. La guerra, infatti, aveva interrotto anche le attività del nuovo ispettorato me- dico del lavoro nato nel 1914 con le competenze dei medici Giovanni Loriga (1861-1950) e Luigi Carozzi (1875-1963). Dei 77 ispettori medici solo 19 sono in servizio e l’attività si riduce a circa il 10%. Carozzi ri- porta che gli ispettori richiedono sempre l’osservazio- ne della legge sul lavoro per le donne e fanciulli nelle imprese sottoposte alla MI. Nelle inchieste, pubblicate nel Bollettino dell’Ispettorato del lavoro nei diciotto mesi di attività (luglio 1917 - dicembre 1918), non ri- sultano tuttavia indagini riguardanti donne e minori negli stabilimenti di munizioni (7).
Castellazzo di Bollate (Milano), venerdì 7 giugno 1918
Alle 13.50 esplode il reparto caricamento di bom- be a mano della fabbrica di munizioni Sutter & Théve- not di Castellazzo di Bollate (Milano). Delle 59 vit- time, 52 sono giovani operaie. Francois Thévenot era titolare anche della fabbrica francese di Croix d’Hins
(Bordeaux), 1800 operai di cui 1200 donne, dove, nell’aprile 1916, il reparto di produzione dell’“echo”, era esploso con 42 morti e almeno cento feriti (8). Lo stabilimento di Castellazzo, fondato con l’ingegnere svizzero Giacomo Sutter, era stato dichiarato ausilia- rio nel 1917. Nello stesso anno Luca Comerio (1878- 1940) svolgeva quel servizio fotografico che renderà immortali volti e condizioni di lavoro di quelle operaie.
Il 12 giugno 1918 il deputato Adamo Degli Oc- chi porta la strage in parlamento per “onorare” le vit- time cui seguono il giorno successivo le interrogazioni di Arnaldo Agnelli, Bartolo Belotti e Giuseppe De Capitani d’Arzago sulle cause e responsabilità. Un’in- dagine viene avviata dal Ministero armi e munizioni per “sabotaggio”. Le testimonianze dei verbali degli interrogatori descrivono l’ambiente di lavoro duro e ri- schioso, con gravi infortuni, caratterizzato dalla gerar- chia militare di ingegneri svizzeri tedeschi su operaie giovanissime spesso vessate, molestate sessualmente, e lasciate nell’ignoranza. L’eufemismo dei termini utiliz- zati quali “bombette”, “granatine”, “petardi”, “maestra” (la capo reparto), “facchini”, per descrivere il lavoro, ne sono ulteriore prova. Nel reparto esploso (“bombette”) lavoravano 39 donne, 4 maschi e un assistente. Unica superstite Maria Minonzio di 17 anni perché in infer- meria. Muore all’Ospedale Maggiore di Milano anche il soldato-operaio del reparto Emilio Geroli. L’operaia Teresa Aldera, occupata nella lavatura dei timbri, af- ferma nel verbale di interrogatorio che nessuna visita ispettiva aveva coinvolto lo stabilimento se non per motivi militari (9).
Gli ingegneri vengono assolti, così come assolti furono anche i fratelli Blanck e Harris proprietari della fabbrica di New York. La memoria delle stragi si per- de. Perché?
Stragi silenziate: perché?
Ipotizziamo alcune delle ragioni. L’emigrazione e la MI dovevano essere viste positivamente per facili- tare le rimesse degli emigranti e la produttività degli stabilimenti ausiliari. Le morti femminili, in un con- testo di “inferiorità femminile”, valevano meno perché manodopera a basso costo con minimi risarcimenti. Le censure politiche e governative agivano per orientare
S. Salerno
144
l’opinione pubblica e ancora di più in tempo di guerra e di industrializzazione bellica. Le agenzie filtravano le notizie sgradite e/o ne limitavano la rilevanza come l’Agenzia Stefani nel caso dell’articolo su Castellaz- zo ne La Stampa “i danni devono ritenersi pressoché insignificanti” (9 giugno 1918)! Alcune delle vittime sopravvissute, così come le famiglie, volevano dimen- ticare e confinare nel passato il ricordo doloroso degli eventi (1,10).
Le motivazioni del silenzio, anche dei contributi femminili e della medicina del lavoro, saranno ulte- riormente ricercate.
Bibliografia
1. Salerno S. The contribution of Italian migrant women in the New World to health and safety at work. Med Lav 2018;110:391-402
2. Addams J, Balch EG, Hamilton A. Women at the Hague: The International Congress of Women and its results. New York: The Macmillan Company; 1915.
3. Tommassini L. Lavoro e guerra. La mobilitazione industria-
le italiana 1915-1918. Napoli: Edizioni scientifiche italiane; 1997.
4. Kuliscioff Anna. Il monopolio dell’uomo. Milano: Critica Sociale; 1894.
5. Branca E. Dottoresse al fronte? La C.R.I. e le donne medico nella Grande Guerra: Anna Dado Saffiotti e le altre. Torino: Associazione Nazionale Sanità Militare Italiana; 2015. 6. Riva MA, Caramella M, Turato M, Cesana G. Pier Diego
Siccardi (1880-1917) the “Clinica del Lavoro” in the trench warfare. Med Lav 2017;108:482-6.
7. Baldasseroni A, Carnevale F, Iavicoli S, Tomassini L. Alle origini della tutela della salute dei lavoratori in Italia. Nasci- ta e primi sviluppi dell’Ispettorato del Lavoro (1904-1939). Roma: Edizione ISPESL; 2009.
8. http://eugeneturpin.blogspot.com/p/croix-dhins.html 9. Città di Bollate. Quel giorno io c’ero. Garbagnate Milanese:
Anthelios Edizioni; 2019.
10. Rai Storia - Passato e presente. La fabbrica dimenticata a cura di Paolo Mieli con la prof.ssa Barbara Bracco. 23 mag- gio 2018.
Corrispondenza: Silvana Salerno
ENEA Casaccia, SP Anguillarese, Roma E-mail: [email protected]