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Dipartimento di Scienze Biomediche e Biotecnologiche, Università degli Studi di Catania, Catania

Medicina Historica 2020; Vol. 4, Suppl 1: 29-30 © Mattioli 1885

S t o r i a d e l l a s a n i t à p u b b l i c a

Due testi risalenti a circa duemila anni fa, il cinese “Huangdi Neijing” e l’indiano “Susruta Samhita”, in- dicavano alcuni trattamenti fitoterapici di una malattia temibile dovuta a punture di insetti. Ippocrate studiò gli effetti di questa malattia, e, più tardi, gli antichi romani la chiamarono “febbre delle paludi”, poiché credevano che questa malattia fosse dovuta ai vapori nocivi delle aree paludose, e nel medioevo la malattia prese il nome di “malaria” ovvero “aria cattiva”.

Nella storia della medicina importante è stata la ricerca di un vaccino contro la malaria e la scoperta di terapie efficaci a contrastare la malattia. La malaria, causata da parassiti unicellulari del genere “Plasmo- dium”, viene trasmessa dalla zanzara femmina “Ano- pheles” che infetta un soggetto sano dopo avere punto un soggetto infetto (1-2). I sintomi della malattia, in una prima fase, possono essere confusi con la sindro- me influenzale, e manifestarsi con cefalea, iperpires- sia elevata, accompagnata da brividi di freddo, mialgie diffuse ed astenia, e ben presto, purtroppo, possono seguire insufficienza renale, crisi convulsive, coma e morte. La sintomatologia, in genere, si manifesta dai sette ai trenta giorni dopo l’infezione ed il parassita può rimanere quiescente ed a lungo nelle cellule del fegato. Nella nostra epoca, in molte nazioni del mondo occidentale la malaria risulta sotto controllo, ma rima- ne endemica in molti altri paesi del terzo mondo. La malaria è la parassitosi più diffusa al mondo e, dopo la tubercolosi è la seconda malattia infettiva al mondo, più diffusa per mortalità e morbilità. Molti dei decessi causati dalla malaria riguardano bambini al di sotto dei cinque anni di età e donne in gravidanza dell’Africa sub-sahariana (3-4).

La causa della malaria rimase sconosciuta fino al 1880, quando il chirurgo militare francese Charles La-

veran localizzò i parassiti nel sangue di un soggetto in- fetto (5). Nel 1886, Camillo Golgi descrisse l’esistenza di diversi tipi di malaria ed ipotizzò che il rilascio dei parassiti nel sangue della persona malata, coincideva con la fase febbrile ed i brividi. Raimondo Filetti e Gio- vanni Grassi identificarono, nel 1890, diversi parassiti, e, nello stesso anno, l’inglese Ronald Ross intuì che le zanzare che pungevano soggetti malati, diventavano vettori di trasmissione della malattia, per altri soggetti sani (6). Nel 1898, Giovanni Grassi dimostrò, inoltre, che la zanzara femmina del genere “anopheles” era il vettore della malaria nell’uomo. Nel 1904, a Panama gli Stati Uniti ripresero i lavori per la costruzione del canale, iniziati anni prima dai Francesi e che erano sta- ti interrotti per le numerose morti degli operai, a causa della malaria, furono ripresi. I lavori furono proseguiti stavolta con successo, grazie al programma di bonifi- ca delle paludi infestate dalle zanzare, con l‘utilizzo di zanzariere, di insetticidi e di medicinali, adottato dai militari americani (6). Nel 1939, Paul Muller, chimico svizzero, scopì il dicloro difenil tricloroetano (DDT), potente insetticida, che suscitò molto entusiasmo per la sua efficacia contro le zanzare, fino agli anni sessan- ta dello scorso secolo, quando furono, invece, scoperti anche i suoi gravi effetti collaterali, nocivi per la salute degli esseri umani. Nel 1955, la Organizzazione Mon- diale della Sanità (OMS) promosse una campagna contro la malaria con l’utilizzo di zanzariere, insetti- cidi e cure farmacologiche. Nel 1981, la farmacologa cinese Tu You You scoprì l’efficacia della “artemisina” nel trattamento della malaria.

Per molti secoli il rimedio più efficace contro la malaria è stato la corteccia di China ed il suo derivato, il chinino, che oggi viene sostituito dalla clorochina e da altri farmaci, come la meflochina, la associazione

C. Tornali

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proguanil-atovaquone e la doxiciclina. Negli ultimi anni, però, il chinino sta risultando l’unico farmaco antimalarico verso il quale i plasmodi non hanno svi- luppato resistenze (3-4).

La storia della medicina, annovera la scoperta del chinino con la figura della contessa spagnola Ana de Osorio Chincon, moglie del vicerè spagnolo del Perù, Jeronimo de Cabrera, che, nel XVII secolo, sull’esem- pio delle popolazioni andine sudamericane, utilizzò con successo la polvere di china, per le cosiddette feb- bri intermittenti, collegate alla infezione malarica, e ne introdusse l’uso in Spagna. Carlo Linneo, in onore della contessa, utilizzò il nome “Chincona”, per defi- nire la famiglia a cui appartiene l’albero della China. La storia della medicina deve anche ricordare il gesuita Bernabè Cobo che, nel 1632, portò le bacche di chi- na, dalle Americhe in Europa e ne promosse l’utilizzo sulle febbri malariche, e per questo motivo la corteccia di China, trasformata in polvere, per molto tempo fu anche denominata “la polvere dei gesuiti” (1-2). È in- fine utile ricordare che la chinidina, isomero destrogiro della chinina, è da tempo uno dei farmaci più utilizzati nella terapia delle aritmie cardiache.

Bibliografia

1. Corbellini G, Merzagora L. La Malaria tra passato e presen- te. Catalogo della mostra allestita presso il Museo di Storia della Medicina dell’Università “La Sapienza”. Roma; 1998. 2. Regione Lazio, Assessorato alla Cultura, Centro Regionale

per la documentazione dei Beni Culturali ed Ambientali. La Malaria, Scienza, Storia, Cultura. Storia della lotta alla Ma- laria nel territorio pontino e fondano. Roma: IGER; 1994. 3. Gargani G. La Malaria nei secoli ed oggi. Biologi Italiani

2004: 5;74-86.

4. Celli A. La lotta contro la Malaria. Parassitologia 2004; 46:329-47.

5. Laveran A. Nature parasitaire des accidents de l’impaludisme. Paris: Bailliere; 1881.

6. Donelli G, Serinaldi E. Dalla lotta alla Malaria alla nasci- ta dell’Istituto di Sanità Pubblica. Il ruolo della Rockefeller Foundation in Italia: 1922-1934. Roma-Bari: Editori Later- za; 2003: 258.

Corrispondenza: Cristina Tornali

Policlinico di Catania, Catania E-mail: [email protected].

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