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Divisione di Paleopatologia. Dipartimento di Oncologia, dei Trapianti e delle Nuove Tecnologie in Medicina, Università di Pisa, Pisa

Medicina Historica 2020; Vol. 4, Suppl 1: 105-109 © Mattioli 1885

P a l e o p a t o l o g i a e p a t o g r a f i a

Il problema della presenza e della frequenza dei tumori maligni nelle popolazioni antiche è stato a lun- go oggetto di dibattito in Storia della Medicina e in Paleopatologia. Se alcuni studiosi hanno ritenuto che l’incidenza dei tumori maligni in passato fosse molto rara (1) o addirittura inesistente(2), il numero di casi pubblicati in letteratura, anche se distribuiti in un arco temporale e in un ambito geografico molto ampi (3, 4) smentisce oltre ogni dubbio questa visione.

Occorre considerare però che solo recentemente l’attenzione degli studiosi si è rivolta alla ricerca di pa- tologie neoplastiche nei resti umani antichi. In passa- to l’interesse degli antropologi era rivolto soprattutto agli studi craniologici e razziali piuttosto che a quelli paleopatologici; inoltre, gli antropologi stessi non pos- sedevano la preparazione necessaria per individuare le manifestazioni macroscopiche delle neoplasie (5). È quindi probabile che molti casi non siano stati diagno- sticati e registrati correttamente.

Va tuttavia precisato che se attualmente i tumori rappresentano la seconda causa di morte dopo le ma- lattie cardiovascolari(6), ciò non può essere ritenuto valido per il passato. Infatti, secondo gli studi più re- centi, la patologia neoplastica era presente, ma la sua incidenza era certamente molto meno elevata per una serie di motivi. In particolare, l’età media della vita era molto inferiore rispetto all’epoca attuale: in altri termini gli individui generalmente morivano prima di raggiungere la quarta o la quinta decade di vita, che costituiscono le fasce d’età dopo le quali si concentra la più alta probabilità di sviluppare il cancro (7). Inoltre, non esistevano in passato molti dei fattori ambienta- li che attualmente rivestono un ruolo di rilievo nella promozione neoplastica, come l’inquinamento, il fumo

di sigaretta, alcuni farmaci, ecc. Questa considerazione tuttavia non deve far dimenticare che erano comunque presenti agenti cancerogeni naturali, come le radiazio- ni ultraviolette, alcune sostanze chimiche presenti nei cibi conservati e i virus oncogeni (7, 8). Emerge chia- ramente che a giocare un ruolo fondamentale nell’in- sorgenza dei tumori nell’Antichità dovevano essere soprattutto i fattori ambientali e culturali. Questi sono legati alle condizioni climatiche, ai modi di sussistenza e allo “stile di vita” dei diversi gruppi umani (paradig- matico resta il fumo di sigaretta per il mondo occiden- tale), tutti fattori che contribuiscono alla distribuzione e all’incidenza dei tumori maligni per aree geografiche e per periodi storici.

Il cancro nelle fonti letterarie di Età classica

Molti autori greci, romani e bizantini trattano del cancro, ma i più importanti riferimenti restano quelli di Ippocrate (9, 11) e di Galeno (10, 11).

Ippocrate, nella sua opera “Sulla carcinosi”, andata in gran parte perduta, è ben conscio del decorso fatale del cancro e associa per primo cancro ed età avanzata, distinguendo cancri superficiali e cancri profondi. No- nostante si occupi estesamente anche del cancro dell’u- tero e del carcinoma nasofaringeo, tumori maligni già ben inquadrati e clinicamente accessibili alla medicina ippocratica, il cancro di cui tratta è soprattutto quel- lo della mammella femminile, di cui delinea anche la sintomatologia: “una donna di Abdera (città della Tra- cia) sviluppò un carcinoma della mammella e, attraverso

il capezzolo, c’era una secrezione siero-ematica; quando la secrezione cessò essa morì” (Sulle epidemie, V libro). Ip-

G. Fornaciari

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pocrate descrive in maniera magistrale il cancro mam- mario e le sue metastasi, distinguendolo nettamente dai “tumori” intesi come tumefazioni o raccolte purulente di origine infiammatoria: “Si formano nelle mammelle

alcuni tumori duri, di grandezza variabile, che non sup- purano, diventano sempre più duri e dai quali, alla fine, si sviluppano cancri nascosti che portano a morte la paziente; nel corso di questa malattia la paziente accusa dolori fra le scapole e al collo, diventa emaciata, sente un sapore amaro in bocca, appare sempre più confusa e irrazionale e lamen- ta sete” (Malattie delle donne, II libro), dove i dolori

cervicali e interscapolari sono chiaramente riferibili alle metastasi scheletriche, con il sapore amaro causato dall’ipercalcemia.

Quanto al cancro dell’utero afferma che “È noto il

rischio di sviluppo di cancro in presenza di una ulcerazione protratta e non curata del tratto genitale femminile […]. Quando l’utero di una donna diventa duro e protrude at- traverso i genitali esterni e gli inguini diventano duri e c’è infiammazione dei genitali, tutto tende a diventare can- ceroso” (Sulla natura delle donne, I-II libro), dove ap-

pare evidente la relazione fra infiammazioni croniche dell’utero e cancro, oltre al riferimento alla diffusione metastatica alle linfoghiandole inguinali.

Intuisce anche l’esistenza di cancri degli organi interni, come il torace o l’addome, in quanto associati con sintomi sistemici “[...]la bocca diventa amara, quan-

do il cancro si sviluppa dopo la tosse o dopo qualche disturbo addominale[...]”, ma avverte “È meglio non trattare i pa- zienti che sviluppano cancri nascosti; perché con il tratta- mento essi muoiono presto mentre, senza trattamento, essi sopravvivono a lungo.” (Sulle Epidemie, II libro).

Galeno descrive così il cancro della mammel- la: “Il carcinoma è un tumore maligno e duro, ulcerato o

non ulcerato. Esso prende il nome da un animale chiamato granchio (καρκινοσ). Sulle mammelle noi abbiamo visto spesso dei tumori che somigliano proprio a questo animale. E come le zampe del granchio si dispongono sui due lati del suo corpo, così le vene stirate dall’ingrossamento innaturale somigliano al granchio come forma”. In maniera analoga

Paolo di Egina, seguace di Galeno del VII secolo, di- chiara che “[…] la fermezza con cui i tumori carcinoma-

tosi si fissano ai tessuti sottostanti somiglia alla fermezza delle chele del granchio” (11).

Quanto alla sede di origine, secondo Galeno “[…]

i carcinomi si formano soprattutto sulle mammelle, ma an-

che nei genitali femminili e maschili; e in qualsiasi parte del corpo si possono formare i carcinomi occulti, i carcino- mi ulcerati e il terioma maligno […] (da terion: bestia

selvaggia) […] il carcinoma nell’utero è un tumore non

ulcerato, irregolare, verrucoso […]” e cita anche i cancri

del palato, dell’intestino e dell’ano (Sulle Epidemie, II libro).

La terapia risolutiva è ovviamente chirurgica “[…]

l’obbiettivo di tutte le rimozioni chirurgiche di una crescita anormale, è la resezione totale in circolo dell’intero tumo- re, raggiungendo i tessuti normali […]. “[…] e se tenti di guarire il cancro con la chirurgia […] dopo avere escisso con precisione la parte affetta, senza lasciare neanche una radice, permetti al sangue di uscire non effettuando dap- prima l’emostasi […]. “[…] e nel caso di carcinomi (della

mammella) che non sono attaccati al torace io uso la chi-

rurgia in questa maniera: con la donna giacente sul dorso, io separo la parte sana della mammella sopra il carcinoma e cauterizzo le aree dissecate fino al raggiungimento dell’e- mostasi; poi disseco ancora la mammella in profondità e cauterizzo di nuovo. Io ripeto ciò molte volte…fino a re- sezione completa (del tumore)” (Leonida, medico con-

temporaneo di Galeno) (11).

In conclusione, non c’è dubbio che i tumori ma- ligni e la loro terapia costituissero un tipo di patologia ben noto ai medici dell’Età classica (11).

Il cancro in Paleopatologia

Mentre i casi di tumori maligni antichi docu- mentati nei resti scheletrici fino al 2015 erano ben 159 (12), i casi di cancro diagnosticati fino ad ora nei tes- suti molli delle nelle mummie sono estremamente rari (13).

La frequenza più alta nei maschi è probabilmente l’effetto della inferiore durata della vita delle donne del passato. Inoltre, occorre considerare che le ricerche non rappresentano una stima reale dell’insorgenza di tumo- ri maligni nelle varie regioni del mondo, ma l’intensità degli studi nei vari paesi. Riportiamo la casistica per il Vecchio Mondo, aggiornata al 2015 (Grafico 1).

I carcinomi erano tumori dell’età adulta e matura ma non dell’età avanzata, evidentemente a causa della speranza di vita più breve in passato (Grafico 2). Inol- tre, il carcinoma risulta il tipo di tumore più frequente

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(64,1%), mentre gli osteosarcomi (17,6%) e i mielomi (18,3%) sono più rari, con un trend in tutto simile a quello attuale.

Il mieloma multiplo costituiva un tumore dell’età matura e avanzata (Grafico 3), come al giorno d’oggi (14).

Gli osteosarcomi erano invece appannaggio de- gli adolescenti e dei giovani, proprio come all’epoca attuale (Grafico 4). Inoltre, il carcinoma metastatico osteoblastico, interessante solo i maschi di età media e matura, può essere identificato con il carcinoma della prostata (15).

In conclusione, sembra che l’epidemiologia dei tumori maligni del passato, a prescindere dalla nume- rosità, seguisse le stesse modalità di distribuzione del cancro attuale.

Il carcinoma nasofaringeo, presente in Egitto e in Nubia, necessita di un ulteriore commento. Attual-

mente il carcinoma nasofaringeo è raro nei paesi oc- cidentali sviluppati (0,25%), mentre la sua incidenza è molto maggiore in Africa (7,8%) e nell’Asia meridio- nale (18-20%).

I casi negli antichi egizi e nubiani non mostrano preferenze in base al sesso e la distribuzione in base all’età mostra un’incidenza maggiore nei giovani ri- spetto all’epoca attuale. L’elevata prevalenza del car- cinoma nasofaringeo è stata messa in relazione alla presenza contemporanea del virus di Epstein-Barr e all’esposizione della mucosa nasofaringea ad agen- ti cancerogeni chimici provenienti dalla flora locale. Sembra che gli acidi grassi a catena corta, presenti nel- le piante della famiglia delle Euforbiacee, tipiche del clima caldo, insieme all’infezione virale, agiscano come promotori (4).

Grafico 1. Paleopatologia del cancro nel Vecchio Mondo

(2015), con i 159 casi riportati in letteratura.

Grafico 2. Paleopatologia del cancro nel Vecchio Mondo, con i

159 casi riportati in letteratura (2015).

Grafico 3. Distribuzione del mieloma multiplo per classi di età.

G. Fornaciari

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Il cancro alla corte rinascimentale di Napoli

Solo cinque casi di tumori maligni dei tessuti molli sono presenti nella letteratura paleopatologi- ca (12), di cui ben tre sono stati identificati nei resti mummificati dei membri della corte aragonese del XV e del XVI secolo, conservati nella basilica di San Do- menico Maggiore a Napoli (13, 16).

L’autopsia della mummia artificiale del re Ferran- te I d’Aragona (1424-94) permise il ritrovamento di un retto ben conservato. L’istologia evidenziò cellule tumorali epiteliali disposte in cordoni e in formazio- ni pseudoghiandolari, tipiche di un adenocarcinoma mucinoso moderatamente differenziato. L’immunoi- stochimica mostrò una forte immunoreattività per la pancitocheratina e l’analisi ed il sequenziamento del DNA degli esoni KRAS 1–2 (17) evidenziò la pre- senza di una mutazione caratteristica del cancro co- lorettale sporadico, molto verosimilmente associata all’esposizione ad agenti cancerogeni naturali presenti nella dieta del tempo (18).

L’istologia del colon della mummia naturale di Luigi Carafa principe di Stigliano (1511-1576) rivelò una mucosa colica straordinariamente ben conservata, con un adenoma villoso e una forte positività immuni- taria per diverse citocheratine e per la p53 (TP53) (13, 16). In diversi punti del tumore apparve una evidente invasione neoplastica del tessuto adiposo sottosieroso, facendo porre la diagnosi di adenocarcinoma ben dif- ferenziato allo stadio T3 (13, 16).

La mummia naturale di Ferdinando Orsini, duca di Gravina in Puglia (circa 1490-1549), recava una estesa lesione destruente dell’orbita e delle ossa nasali di destra. L’istologia mostrò grandi lacune osteolitiche contenenti ammassi solidi di cellule epiteliali con forte positività per la citocheratina, delimitati da un orletto cellulare più scuro, caratteristico di un carcinoma a cel- lule basali estesamente invasivo (19).

La scoperta che, su undici mummie ben conserva- te di nobili spagnoli, comprendenti dieci uomini e una donna, ben tre di età compresa tra 55 e 71 anni furono affetti da cancro, riveste indubbiamente un significato di grande interesse. Nonostante l’esiguità del campio- ne, la prevalenza di cancro del 27% che è stata rilevata si avvicina molto a quella del mondo occidentale attua- le, pari al 31% (18).

Possiamo ipotizzare che il cancro deve essere stato frequente dopo i 50-60 anni, almeno nelle classi ari- stocratiche del Rinascimento, con uno stile di vita ed abitudini alimentari particolari, come risulta in questo gruppo di nobili aragonesi (18).

In conclusione, l’ipotesi che il cancro fosse un evento estremamente raro nelle popolazioni del passa- to, dovrebbe essere rivista, almeno per certe classi so- ciali. Futuri ed accurati studi autoptici sulle mummie si riveleranno fondamentali, non solo per diagnostica- re nuovi casi sicuri di cancro, ma anche per chiarire i meccanismi della progressione neoplastica nel passato.

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Il problema del cancro nell’Antichità 109

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Corrispondenza: Gino Fornaciari

Divisione di Paleopatologia

Dipartimento di Oncologia, dei Trapianti e delle Nuove Tecnologie in Medicina Università di Pisa, Pisa

Un caso di osteoartropatia ipertrofica secondaria dalla

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