1Infermiera, Professore a contratto, Università degli studi di Milano; 2Infermiere, Professore a contratto, Università degli studi di
Milano; 3Infermiera, Area Pediatrica; 4Direttore UOS Beni Culturali, Fondazione I.R.C.C.S. Ca’ Granda Ospedale Maggiore
Policlinico; * UOC Direzione Professioni Sanitarie Fondazione I.R.C.C.S. Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico Medicina Historica 2020; Vol. 4, Suppl 1: 163-165 © Mattioli 1885
S t o r i a d e l l a M e d i c i n a d e l L a v o r o
Introduzione
Durante la Grande Guerra l’assistenza sanitaria, in Italia, fu garantita su due fronti distinti: il primo nelle vicinanze dei campi di battaglia, in prossimità delle zone di guerra e il secondo all’interno del Paese, negli Ospedali in cui si ricoverarono i soldati feriti o malati con prognosi superiore al mese (1-2). L’Ospe- dale Maggiore di Milano, uno dei più grandi del capo- luogo lombardo, costituito allora da 2000 posti letto, nel maggio 1915, ne cedette 470 all’Autorità militare, per ospitare al suo interno un Ospedale Militare di Riserva e 450 alla Croce Rossa nei Padiglioni Litta e Zonda (3), quest’ultimo reso celebre da Hemingway nel romanzo “Addio alle armi”.
Per garantire il suo funzionamento, in sostituzio- ne del personale arruolato, il nosocomio adottò alcuni provvedimenti immediati: la sospensione dei giorni di vacanza annuali a tutti i dipendenti e la riduzione del numero di riposi. Inoltre, per sopperire alla difficoltà di reclutamento di manodopera femminile, maggiormen- te attratta dall’impiego in altri settori quali i trasporti e l’industria legata a commesse belliche (4, 5), la dire- zione ospedaliera dispose l’assunzione delle infermiere all’età di 17 anni invece dei 20 previsti (6).
La comunità infermieristica femminile presente durante la guerra fu di circa 800 donne tra laiche e re- ligiose. Le infermiere laiche dipendenti furono 573 nel 1915 e diventarono 677 nel gennaio del 1918, il loro lieve incremento di numero fu determinato dalla sosti-
tuzione di 127 colleghi maschi inviati al fronte (7). Le infermiere religiose, in ospedale dal 1845, denominate Suore Sorveglianti e appartenenti all’ordine delle Suo- re della Carità, furono 170 nel 1915 e 186 nel 1918, svolsero compiti di sorveglianza disciplinare e ammi- nistrativa del personale e dei malati. L’organizzazione del lavoro, durante la guerra, richiese alcune modifiche che ricaddero, inevitabilmente, sul personale infermie- ristico femminile, l’unico in grado di assicurare la con- tinuità del servizio ospedaliero.
Obiettivo
Il presente contributo intende descrivere come reagirono le infermiere e la direzione ospedaliera alle condizioni lavorative imposte dal conflitto.
Materiali e metodi
È stata condotta un’indagine nell’archivio storico della Fondazione IRCCS Ca’ Granda Ospedale Mag- giore Policlinico di Milano (AOM) tra aprile e luglio 2018, nella ricorrenza del centenario della Grande guerra. I materiali consultati riguardano la documen- tazione sanitaria e amministrativa inerente la popo- lazione infermieristica femminile, laica e religiosa, in servizio nel 1915-1918. Si è esclusa quella maschile. Le fonti primarie rinvenute, sottoposte ad analisi filo-
S. Rancati, R. Milos, A. Cerra, et al.
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logica (8), riguardano: delibere, atti sanitari, ammini- strativi, tra cui la corrispondenza tra le infermiere e la direzione ospedaliera.
Risultati
Dal 1916, dopo un anno di guerra, le infermie- re laiche scrivono 4 lettere alla direzione ospedaliera in cui, a nome di tutte le colleghe, formulano alcune richieste per diminuire i disagi dovuti alle restrizio- ni economiche e all’eccessiva attività lavorativa. Nei documenti chirografi, non intermediati dalle Leghe femminili, rappresentanti le istanze di altre categorie di lavoratrici coeve, le infermiere domandano l’aumen- to del salario: la diaria di soli 90 centesimi, ovvero ¼ rispetto agli uomini, diventa insufficiente per vivere durante il periodo bellico. In caso di malattia non pos- sono curarsi perché non retribuite e non hanno diritto al vitto gratuito. In quegli anni, la scarsità di generi di prima necessità e il loro razionamento influirono anche sull’assistenza diretta, il nosocomio, infatti, fu costretto a dare indicazione alle infermiere di ridurre la quantità di zucchero per i malati, sostituire il caffè con infuso di cicoria, sospendere il funzionamento di alcu- ni focolari a carbone per riscaldare l’acqua (9). In una missiva riferiscono di essere stanche per l’aumento del carico lavorativo, aggravato dall’insufficiente riposo tra i turni e dalle poche ore concesse, solo tre, per dormire dopo la notte di servizio. Le loro rivendicazioni indu- cono la direzione ospedaliera ad approfondire anche le condizioni di servizio delle Suore Sorveglianti, che si scoprono gravose quanto quelle riservate al perso- nale laico. In una lettera manoscritta dell’autunno del 1917, le infermiere rivelano l’apprensione per la loro salute in deterioramento benché desiderino continua- re ad assistere i malati con amorevolezza, compiere il loro dovere con maggior diligenza, nonostante le dif- ficoltà. Rattristate, segnalano con acribia al Presidente dell’Onorevole Consiglio la morte per infezione con- tagiosa di 5 colleghe d’età inferiore ai 30 anni, avve- nuta in quell’anno tra luglio e ottobre (10). Riportano l’aumento della morbilità e la mortalità per forme tu- bercolari della popolazione infermieristica femminile, rispetto a quella maschile e a quella di altre categorie di lavoratrici e la durata media delle assenze per malattia
che si protrae per oltre un mese. Suppongono, tra le cause, l’organico carente rispetto al numero di malati civili e militari da assistere (2000), di cui 500 affetti da tubercolosi, nonché l’aumento di casi di tifo e me- ningiti. Evidenziano una relazione tra il deperimento della loro salute e i ritmi di lavoro intensi, poiché erano sane e robuste prima dell’assunzione in ospedale (10). I dati riportati nell’epistolario trovano riscontro nei ri- lievi epidemiologici dell’Ispettore medico Chincarini incaricato della loro sorveglianza sanitaria, disposta dal Sovraintendente medico Professor Ronzani. Chinca- rini conferma, nel 1917, il verificarsi di 13 casi di tifo di cui 4 mortali e delle 97 infermiere malate di tuber- colosi polmonare, nei 4 anni di guerra, si registrano 14 decessi. Inoltre, si rammarica di non poter conoscere la morbilità delle Suore Sorveglianti, poiché le religiose ammalate sono curate nell’infermeria del loro ordine, è nota però la loro mortalità per forme tubercolari che raggiunge il 19% (11). La direzione medica reputa, tra le ragioni, il soverchio lavoro non compensato da adeguato riposo, il prestar servizio in ambienti chiu- si e poco igienici che influiscono sull’organismo delle infermiere e delle Suore Sorveglianti e la minor resi- stenza fisica delle donne rispetto agli uomini (11). Dal 1 maggio del 1918, nonostante la miseria provocata dalla guerra, l’amministrazione accoglie quanto richie- sto dalla comunità infermieristica: dispone l’aumen- to di lire 2.40 del salario, da erogare anche in caso di malattia, l’assunzione di 21 Suore Sorveglianti (207) e 86 infermiere (763) per ridurre l’orario di servizio in corsia e sostituire le infermiere malate. Tra le norme di profilassi ordina l’isolamento di malati tifosi, la visita medica ogni 2 mesi per le infermiere con forme tuber- colari e il loro ricovero in infermerie separate.
Discussione e conclusione
Durante la Grande guerra, le donne sostituirono gli uomini nei luoghi di lavoro. Il personale infermie- ristico femminile laico e religioso, dipendente dell’O- spedale Maggiore di Milano, sopperì alla mancanza di risorse conseguenti all’arruolamento e alla difficoltà di reclutamento. Il conflitto impose ritmi di lavoro in- tensi, restrizioni economiche, provocò miseria, nonché problemi di salute alle infermiere del nosocomio. Le
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lavoratrici dipendenti istruite e capaci, motivarono le loro richieste olografe di miglioramento dell’attività lavorativa, soprattutto nell’interesse dei malati da as- sistere. Considerata la loro competenza e nonostante le grevi privazioni imposte dalla guerra, la direzione ospedaliera, formata prevalentemente da medici, attuò i cambiamenti proposti. Questo delicato equilibrio durò fino all’autunno, quando una nuova sciagura si rivelò peggiore della guerra, purtroppo non ancora ter- minata.
Bibliografia
1. Bracco B. La patria ferita. I corpi dei soldati italiani e la Grande Guerra. Prato: ed Giunti; 2012.
2. Isnenghi M, Rochat G. La grande guerra 1914-1918. Bolo- gna: Il Mulino; 2014.
3. Luigioni V. L’Ospedale Maggiore di Milano per l’assisten- za ai militari malati e feriti in guerra. L’Ospedale Maggiore 1915; 3:418-9.
4. Curli B. Italiane al lavoro. 1914-1920. Venezia: Marsilio; 1998.
5. Imprenti F. Operaie e socialismo. Milano, le leghe femmini- li, la Camera del lavoro (1891-1918). Milano: La Feltrinelli; 2007.
6. Rancati S, Milos R, Cerra A, Guerrieri G, Galimberti PM, Rosi IM. Le infermiere dell’Ospedale Maggiore di Milano nella Grande Guerra. Pace, diritti e dignità del lavoro. Assist Inferm Ric 2018; 37:149-57.
7. Rancati S, Milos R, Cerra A, Maifrini C, Galimberti PM, Rosi IM. “Sul campo dell’Onore”. Ricerca storica in memo- ria degli infermieri italiani caduti nella prima guerra mon- diale. Prof Inferm 2018; 71:131-8.
8. Chabod F. Lezioni di metodo storico. Roma-Bari: Laterza; 2012.
9. Ronzani E. Rendiconto Sanitario Statistico 1914-1921 AOM, Sezione Amministrativa, Rendiconti sanitari e am- ministrativi.
10. Lettera olografa originale dalle infermiere al Presidente del Consiglio degli Istituti Ospitalieri, 28 novembre 1917, AOM Servizi Sanitari e di Culto, Serventi Donne, b.39. 11. Chincarini F. La mobilità e la mortalità degli infermieri
dell’Ospedale Maggiore di Milano negli anni 1914-1921. L’Ospedale Maggiore 1923; 11:81-95.
Corrispondenza: Stefania Rancati
Corso di Laurea in infermieristica, Polo Didattico Valetudo Università degli Studi di Milano, Milano
Fondazione IRCCS Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico, Milano E-mail: [email protected]