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Società Italiana di Storia della Medicina

Medicina Historica 2020; Vol. 4, Suppl 1: 169-171 © Mattioli 1885

S t o r i a d e l l a M e d i c i n a d e l L a v o r o

Le riflessioni qui trattate rientrano in una materia di grande attualità, quale la Corporate Social Responsi-

bility (CSR), che abbraccia anche il tema del lavoro e

soprattutto del ruolo dell’impresa. La CSR, pur affon- dando le proprie radici in tempi lontani, apre oggi alla discussione - fra gli economisti - sul ruolo del capita- lismo e dell’impresa, di fronte al tema della “crescita sostenibile”, in una logica di ampio respiro, che include sicuramente l’ambito sociale.

Osserviamo in primo luogo che il capitalismo è fondato sul presupposto della crescita continua, ma in un ambiente dalle risorse finite, ciò è possibile? Gli economisti sottolineano che vi è il rischio di un utiliz- zo delle risorse senza che queste siano pagate al prez- zo pieno e un liberarsi di costi che si trasformano in esternalità (inquinamento, inefficienze, costi sociali): c’è un capitalismo che crea ricchezza e un capitalismo che saccheggia, per cui determinante può diventare il ruolo responsabile dell’impresa.

Il ruolo sociale dell’impresa può considerarsi un elemento che porta a superare il capitalismo come mera creazione di valore solo per gli azionisti; l’im- presa acquisisce così una funzione economico-sociale, dove i principi di sostenibilità, non solo ambientale, favoriscono la crescita: attività imprenditoriale e ricer- ca del bene comune vanno così a fondersi e, in questo contesto, l’attenzione dell’impresa si sposta verso tutti gli stakeholders, che - a diverso titolo - si interfacciano con l’impresa, rientrando sicuramente fra questi i la- voratori.

Davanti ad un’evoluzione dei sistemi economici e del modo di produrre, si modifica anche l’approccio della medicina, della prevenzione e del welfare in senso lato.

Con la trasformazione del sistema di produrre, che portò all’avvento della prima rivoluzione indu- striale, la medicina, sempre attenta all’evoluzione dei fatti sociali, pone la sua attenzione sulle condizioni del lavoro, avviando - a partire dal Settecento - gli studi dediti alla medicina del lavoro. Nasce così l’idea del- la salute non come bisogno individuale ma come bene collettivo, da salvaguardare.

L’opera “De Morbis Artificum” di Bernardino Ra- mazzini viene considerata come il primo manifesto sulle malattie sociali dei lavoratori e, proprio a partire dalla sua pubblicazione, si sviluppano interessi crescen- ti per i temi della salute collettiva e della prevenzione, mettendo così le basi di un corpus dottrinale che avreb- be avuto incessante sviluppo per tutto il Settecento.

Si diffondono pratiche di prevenzione (quali la vaiolazione prima e la vaccinazione poi), così come si sviluppano gli studi sulla polizia medica e sull’impor- tanza del ruolo del medico nella società.

La medicina inizia a guidare le scelte della poli- tica, portando allo sviluppo degli studi sulla salubrità dell’ambiente e sulle condizioni del lavoro, ma anche sull’alimentazione e perfino sull’inquinamento atmo- sferico, per arrivare all’organizzazione scientifica del lavoro, alla prevenzione ed all’igiene industriale. Si ini- zia così a parlare di prevenzione anche nel mondo del lavoro e a chiedersi quali debbano essere gli esami per favorire la prevenzione della salute dei lavoratori.

In modo provocatorio, si potrebbe dire che i veri esami di prevenzione siano gli esami di coscienza verso i temi della sicurezza e della salute dei luoghi di lavoro: l’etica del diritto per cercare un ambiente sicuro e sano, mantenuto a tutti i livelli. Sorge la necessità di un im- pegno da parte delle istituzioni, dei datori di lavoro e

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dei lavoratori verso una partecipazione attiva e condi- visa alla garanzia di un lavoro in sicurezza, attribuendo la massima priorità al principio di prevenzione.

È in questo contesto, che l’imprenditore illumina- to comprende il significato di tale approccio, sposan- do una visione sociale e contribuendo alla nascita di un’attenzione verso il lavoratore e la sua salute. Oggi si parla di imprenditore sociale, ma se vogliamo fin dal- la nascita dei villaggi e quartieri operai (pensiamo al Villaggio Crespi, sito dell’Unesco), prodromici - in un certo senso - di quello che oggi viene chiamato welfare aziendale, noi assistiamo ad un imprenditore che vede nella salvaguardia e nella tutela del lavoratore un ele- mento fondante.

Il dibattito fra gli studiosi si muove fra paternali- smo di fabbrica e desiderio di “controllo” sul lavoratore: all’interno del villaggio il lavoratore trova la scuola per i figli, l’assistenza medica, la chiesa, i servizi essenziali. Da un lato il lavoratore trova protezione, dall’altro il datore di lavoro può anche verificare l’attività del la- voratore.

Non crediamo però fosse questo il vero intento dell’imprenditore, che attraverso azioni mirate capi- sce l’importanza della tutela della salute del lavora- tore, data la natura di elemento determinante per la vita dell’impresa. E tale considerazione si può derivare anche dalla circostanza che, nella realizzazione della Clinica del Lavoro a Milano, siamo agli inizi del No- vecento, fondamentale è stato il sostegno delle impre- se, che - con una visione lungimirante - comprendono l’importanza di tale iniziativa e contribuiscono eco- nomicamente alla sua costruzione, come si legge nella rendicontazione de “I venticinque anni della Clinica del Lavoro di Milano”, pubblicati nel 1935 a cura degli RR. Istituti Clinici di Perfezionamento di Milano.

Sempre da detta rendicontazione si legge che è del 1907 il Primo Congresso Nazionale delle malattie del lavoro ed è sempre nel 1907 che viene decisa la re- alizzazione della Clinica del Lavoro a Milano, sotto il motto animatore “in aliis vivimus, movemur et sumus”, inaugurata tre anni dopo, il 20 marzo 1910. La dire- zione fu affidata a Luigi Devoto, trasferitosi da Pavia a Milano nel 1908, il quale però - fin dal 1900 - nel pro- prio insegnamento di Patologia medica a Pavia sotto- lineava la necessità di studiare “la patologia della risaia,

la pellagra, le malattie del lavoro”.

E nel primo numero della rivista Il Lavoro, diret- ta da Luigi Devoto, nel 1901, si legge che “le malattie

professionali o malattie del lavoro vanno indubbiamente moltiplicandosi nel paese nostro, seguono, si può dire, passo per passo, lo estendersi delle industrie”.

Lo stesso Devoto osserva (sempre nel 1901) come “una recente circolare del Ministro di Agricoltura, Indu-

stria e Commercio sia encomiabile documento ufficiale di previdenza e di cure rinascenti”, a comprova che le

malattie professionali non debbano essere considerate “eventi naturali e fatali del lavoro”.

Si diffonde così ulteriormente l’idea di una pre- videnza delle malattie professionali, in quanto al mol- tiplicarsi, al trasformarsi e al rinnovarsi delle industrie si accompagnano gli effetti dannosi delle malattie del lavoro, che richiedono profilassi ed interventi di igiene, con la medicina che va così a confermare la propria funzione sociale. In epoca fascista si parla di “assisten- za sociale dell’industria”.

Il ruolo della medicina si rafforza nel tempo e, con il secondo dopoguerra, va a concretizzarsi con l’affer- marsi dello stato sociale e con l’emergere di nuovi sog- getti fondamentali nelle scelte e nel controllo delle isti- tuzioni sociali ed assistenziali. Il benessere dei lavoratori diventa nel tempo un punto di attenzione delle politi- che aziendali, anche grazie al ruolo determinate delle rappresentanze sindacali, secondo una logica di human

relations. Negli anni Sessanta, con il boom economico,

gli imprenditori innovativi al fine di progettare nuovi equilibri sociali, investono nel welfare aziendale non solo per promuovere una maggiore uguaglianza socia- le, ma anche per dare un contributo allo sviluppo di un nuovo modello di società, attento a determinati valori.

Il welfare aziendale, nell’essere espressione del consenso da parte della comunità che costituisce l’im- presa e nel contribuire a creare il mito della famiglia aziendale, rappresenta anche una tappa ineludibile di un processo di crescita e di modernizzazione della so- cietà nel suo insieme.

Anche oggi nella valutazione di un’azienda si guarda al tema del fattore ESG: Environmental, Social,

Governance. All’ambito economico/finanziario si af-

fiancano le attività legate all’investimento responsabile che perseguono aspetti di natura ambientale, sociale e di governance. E così, a pieno titolo, si inserisce anche l’attenzione al luogo di lavoro e ai lavoratori.

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Le aziende destinano fondi per piani di welfare aziendale e di supporto al lavoratore, i quali fra le di- verse opportunità riservate loro dalle imprese, desti- nano circa il 13% alle prestazioni sanitarie integrative, il 12% a fondi di pensione complementare, il 30% a servizi per l’educazione e la restante percentuale ad at- tività ricreative, trasporti ed assistenza.

Le analisi conducono ad evidenziare una sem- pre maggiore attenzione delle imprese verso il welfare aziendale, cui dovrebbe accompagnarsi un’educazione del lavoratore verso l’utilizzo di detto strumento.

Nel concludere queste brevi riflessioni, preme os- servare come in una società, come la nostra, in conti-

nuo cambiamento, con difficoltà a sostenere i crescenti costi del welfare statale, occorra riconoscere nel pros- simo futuro il ruolo delle imprese per favorire lo svi- luppo di un sistema di welfare aziendale, in cui anche il ruolo delle organizzazioni non profit avrà un impatto decisivo e fondamentale sarà la necessità di educazione del lavoratore verso i piani di benefit proposti.

Corrispondenza: Marco Zanobio

Società Italiana di Storia della Medicina E-mail: [email protected]

Il contributo della Medicina del Lavoro allo sviluppo e alla

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