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Libero ricercatore, Società Italiana di storia della medicina

Medicina Historica 2020; Vol. 4, Suppl 1: 166-168 © Mattioli 1885

S t o r i a d e l l a M e d i c i n a d e l L a v o r o

Il giornale “La Nazione del Popolo” in cronaca di Prato e in data domenica 26 giugno 1946 riporta questo titolo: un audace intervento chirurgico salva un operaio ferito al cuore”. Il 25 giugno alle ore 20 un giovane operaio di 15 anni, mentre svolgeva il suo lavoro presso la ditta Bettazzi, scivolava su un paio di grosse forbici che teneva in mano e si procurava una profonda ferita al petto. All’epoca il lavoro minorile era molto diffuso. Arrivato all’ospedale di Prato dopo un intervallo lucido e ormai privo di coscienza, il gio- vane mostrava una ferita da punta e taglio al quinto spazio intercostale sulla parasternale, penetrante in cavità. Il primario del reparto di Chirurgia, professor Aurelio Angeli con l’esame obiettivo faceva diagnosi di ferita del cuore che stava provocando un tampona- mento cardiaco. Dalla pubblicazione che il professor Angeli produsse per l’INAIL (Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro) l’anno successivo si legge a proposito: “Una sommaria per- cussione e ascoltazione del torace mettono in evidenza timpanismo con tendenza al silenzio respiratorio verso la base emitoracica sinistra. L’ottusità dell’area cardia- ca sembra aumentata nei diametri trasversali”. Dopo avere avvertito i familiari, il professore condusse il gio- vane paziente in sala operatoria e dopo aver provato un’anestesia con etere, si decise di intervenire. Fu ese- guito un taglio ad angolo in corrispondenza dell’areola e a cerniera sternale sezionando quinta e quarta costa, si ribatté il lembo a tutto spessore, internamente, sul margine dello sterno mettendo in evidenza il mediasti- no e una lacerazione della pleura soffiante. Il pericar- dio si presentò come un ovoide disteso con un saliente a piramide in alto verso i grossi vasi. Un po’ di sangue bagnava il mediastino, penetrando nel cavo pleurico

di sinistra dove si sviluppava un pneumotorace. Venne aperto il pericardio liberando il cuore che veniva bloc- cato dal tamponamento. Aperto il pericardio si rese evidente la ferita del cuore a livello dell’auricola destra dalla quale sgorgava il sangue”. “Con le mani e con le garze” si ottenne una certa fissità del cuore battente per dare due punti in catgut; furono suturati il pericar- dio, i piani cutanei e muscolari, senza drenaggio. Nei giorni di degenza il paziente divenne apirettico, il pol- so da 120 battiti al minuto del primo giorno si riportò a frequenza di 80-84 battiti al minuto. Il paziente fu trattato con penicillina. Dimesso dall’ospedale civile di Prato in data 27 giugno 1946, riprese il lavoro dopo tre mesi dall’infortunio (1). Il paziente vive ancora. L’e- lettrocardiogramma fu eseguito dopo l’incidente e si normalizzò rapidamente. La dinamica dell’infortunio fu ricostruita in questo modo dal prof. Angeli: “la lama penetrò in senso normale al torace, poi si mosse oriz- zontalmente, per il peso del corpo fino a raggiungere il pericardio e l’auricola destra del cuore”. Il professore sottolineò il fatto che statisticamente un incidente sul lavoro del genere era unico, perché di solito il trauma da lavoro coinvolgeva più organi, specialmente gli arti e il torace. Tutta la vicenda è riportata in una pubbli- cazione dell’Istituto nazionale infortuni del gennaio- marzo 1947 intitolata: “Ferita del cuore (orecchietta destra) da forbici, infortunio sul lavoro” (1). Il prof. Aurelio Angeli nacque a Cesena nel 1892 e morì a Prato il 1971. Il padre era ingegnere capo del Comune di Cesena e discendente di una famiglia di carbonari romagnoli. Durante la Prima guerra mondiale come aspirante medico nel battaglione dei bersaglieri si me- ritò una croce di guerra. Nel 1919 si laureò in me- dicina e dopo una brillante carriera nel 1929 diventò

Il primo intervento chirurgico in Italia di sutura di ferita del cuore 167

primario del reparto chirurgia dell’ospedale di Prato. Nella statistica operatoria della divisione chirurgica dell’Ospedale della Misericordia e Dolce di Prato che comprende gli anni 1937-1948 così si esprime il pro- fessore nell’introduzione: “a documentazione della mia esperienza operatoria ho compilato il presente elen- co statistico che riassume l’attività della mia divisione chirurgica nell’ultimo dodicennio. Sono altri 14.496 interventi che aggiunti ai 7.037 già pubblicati nei pre- cedenti contributi clinico statistici, elevano a 21.533 i casi della mia pratica chirurgica generale”: capo e col- lo operati 884, morti 7. Torace e rachide operati 821, morti 10. Addome operati 4818, morti 77. Ginecolo- gia operati 1.303, morti 13. Apparato urinario, geni- tali esterni, regione ano-perineale operati 1.060, morti 4. Ostetricia operati 2.197, morti 4. Arti (interventi chirurgici e ortopedici) 3.613, morti 12. Come si vede il reparto di chirurgia si occupava di tutte le branche chirurgiche. Nell’elenco degli interventi sul torace è riportato l’unico caso di “sutura del cuore (orecchietta destra)” narrato.

Il professore era anche un uomo dai molti interes- si culturali ed è stato una persona importante per la cit- tà di Prato oltre che per il mondo della salute. Dopo la guerra gli furono concesse onorificenze per aver nasco- sto partigiani in ospedale nel reparto infettivi, all’arri- vo dei tedeschi; si racconta che quando doveva uscire qualcuno dall’ospedale per portare messaggi o docu- menti, gli faceva ingessare un braccio o una gamba. Fu premiato dalla Croce Rossa; fu fondatore dell’AVIS di Prato per la donazione del sangue, fu presidente di un circolo d’arte, scrisse anche novelle e racconti e si dedi- cò alla traduzione di testi latini.

Negli interventi chirurgici e ortopedici della sta- tistica, si trovano molti traumi riconducibili a incidenti sul lavoro, come amputazione delle braccia o avam- bracci per sfracellamento, regolarizzazione di monco- ni, amputazione dita, tipiche dell’esposizione ai cicli di lavorazione del tessile che si svolgevano all’epoca a Prato. L’arte della lana è documentata a Prato in Toscana fin dal 1107. Dal 1254 alle gualchiere della Val Bisenzio arrivavano anche i panni dei lanaioli fio- rentini; Nell’età moderna Prato era diventata la città dell’economia circolare, uno dei poli più importanti del tessile in Italia e nel mondo, che garantiva come sua specifica e maggior produzione lana meccanica,

cioè rigenerata con un metodo di eliminazione dalla lana delle fibre di altra natura degli abiti usati ridotti in stracci, che provenivano da tutto il mondo. Que- sto lavoro si svolgeva inizialmente con la cernita de- gli stracci per colore fatta da operai specializzati detti cenciaioli, successivamente nei carbonizzi, opifici ben inseriti nel tessuto urbano della città e ben identifica- bili dalle inconfondibili ciminiere. La lana meccanica poi giungeva al filato, che veniva poi tessuto, rifini- to e confezionato. La tecnologia della rigenerazione della lana proveniva dall’Inghilterra ed ebbe enorme sviluppo dopo la prima guerra mondiale. Ma la forza dell’economia pratese era la presenza contemporanea sia di due grosse strutture industriali esistenti dall’ot- tocento, il “Fabbricone” creato da finanzieri tedeschi e la ditta Forti, sia di moltissime imprese minori, spesso con uno o pochi addetti, gestite anche a livello familia- re. Il frazionamento delle attività lavorative, imprese che operavano su commessa in fasi intermedie, il la- voro decentrato a domicilio, permettevano all’econo- mia di adattarsi alle esigenze del momento col mutare dei cicli di produzione. In passato fiorente è stato il commercio, anche con l’estero, dei tessuti grazie alla professionalità e competenza dei produttori, oltre che per il costo del lavoro che era più basso in confronto ad altri paesi industrializzati (2). A proposito del Fabbri- cone, nel 1898 nacque a Prato Kurt Erick Suckert che prese successivamente il nome di Curzio Malaparte. Il padre era un tintore originario della Sassonia invento- re di un nuovo metodo per tingere le stoffe, direttore del reparto tintoria del Fabbricone, la madre Eugenia era milanese. Chi più di Malaparte conosceva la realtà pratese? Nel suo famoso libro “Maledetti Toscani” così si esprime: “I quali (i pratesi) sanno che tutta a Prato e tutta in stracci, va a finire la storia d’Italia. Glorie, miserie, rivolte, battaglie, vittorie, sconfitte […] tutto a Prato finisce: bandiere d’ogni nazione, uniformi di ge- nerali e soldati d’ogni esercito, e sottane da prete, calze da monsignori, porpore di cardinali, toghe di magistra- ti, giubbe di carabinieri, di sbirri, di carcerieri, veli da sposa, […] anche il vestito che il re Umberto portava a Monza quando Gaetano Bresci, ch’era di Prato, lo ammazzò a pistolettate, è finito a Prato in una balla di cenci […] A Prato tutto va a finire: la gloria, l’onore, la pietà, la superbia, la vanità del mondo” (3).

R. Tempestini

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Bibliografia

1. Angeli A. Ferita del cuore (orecchietta destra) da forbici, infortunio sul lavoro. Rivista degli infortuni e delle malattie professionali; 1947.

2. AA. VV. Storia di Prato. Prato: Cassa di Risparmi e Depositi; 1981.

3. Malaparte C. Opere Scelte. Milano: Mondadori; 1997.

Corrispondenza: Roberto Tempestini Libero ricercatore,

Società Italiana di Storia della Medicina E-mail: [email protected]

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