1Dipartimento di Filosofia Università della Sapienza, Roma; 2TRUSTICERT SRL, azienda innovativa di consulenza scientifica
e regolatoria
Medicina Historica 2020; Vol. 4, Suppl 1: 196-197 © Mattioli 1885
M e d i c a l h u m a n i t i e s
Negli ultimi anni la bioetica è riuscita a ritagliarsi uno spazio di riflessione in quel sistema sociale globale che poggia le sue non salde fondamenta su due colossi, salute e alimentazione.
La riflessione etica in ambito bioetico è caratte- rizzata da una forte compenetrazione e partecipazione agli aspetti più pratici della problematica stessa, tanto da essere vista, a volte, come una vera e propria invasio- ne di campo. Questo essere parte attiva nel vivo della questione permette, però, a chi si muove in quest’am- bito di essere a contatto con gli attori reali, ovvero con chi si trova quotidianamente a dover gestire proble- matiche etiche, più o meno evidenti, ma di indiscussa importanza.
Non c’è da stupirsi che due dei settori più conta- minati e discussi siano proprio salute e alimentazione, due pietre miliari indissolubilmente legate alle nostre esigenze primarie e fortemente interconnesse tra loro.
Le problematiche che ne scaturiscono sono legate a Responsabilità, Principio di Precauzione e Autono- mia ed è il Principio di Precauzione ad avere maggior rilevanza giuridica. Nato in seno alle politiche ambien- tali e solo in seguito sviluppato in ambito di sicurezza alimentare, il Principio di Precauzione è attualmente normato dall’art.7 del regolamento n.178/2002 e stabi- lisce che “1. Qualora, in circostanze specifiche a seguito di una valutazione delle informazioni disponibili, venga individuata la possibilità di effetti dannosi per la salu- te ma permanga una situazione d’incertezza sul piano scientifico, possono essere adottate le misure provvi- sorie di gestione del rischio necessarie per garantire il livello elevato di tutela della salute che la Comunità persegue, in attesa di ulteriori informazioni scientifi-
che per una valutazione più esauriente del rischio. 2. Le misure adottate sulla base del paragrafo 1 sono pro- porzionate e prevedono le sole restrizioni al commercio che siano necessarie per raggiungere il livello elevato di tutela della salute perseguito nella Comunità, tenendo conto della realizzabilità tecnica ed economica e di al- tri aspetti, se pertinenti. Tali misure sono riesaminate entro un periodo di tempo ragionevole a seconda della natura del rischio per la vita o per la salute individua- to e del tipo di informazioni scientifiche necessarie per risolvere la situazione di incertezza scientifica e per re- alizzare una valutazione del rischio più esauriente” (1). Da qui l’idea spesso condivisa che il principio di precauzione possa trasformarsi in un ostacolo all’in- novazione tecnologica. Prima di tutto è necessario distinguere tra principio di precauzione e principio di prevenzione. Mentre ci si avvale del principio di pre- venzione per contrapporsi ai rischi accertati, il princi- pio di precauzione è finalizzato alla difficile gestione dei rischi incerti, sia in ambito ambientale che alimen- tare. La difficoltà nell’affrontare questo tipo di rischio consiste proprio nella mancanza di una piena certezza scientifica che all’interno di un atteggiamento caute- lativo non dovrebbe essere una ragione per rinviare l ‘adozione di adeguate misure preventive, ma che in un contesto di ricerca biotecnologica, sia in campo medi- co, che ambientale, che alimentare, potrebbe rappre- sentare un notevole rallentamento allo sviluppo.
Il principio di precauzione inverte l’onere della prova, favorendo così l’autonomia di chi fruisce dell’u- no o dell’altro processo innovativo in uno dei suddetti ambiti e caricando di responsabilità chi dall’altra parte deve dimostrare “l’assenza” di rischio.
Responsabilità e alimentazione 197
D’ altro canto va precisato che all’interno di una riflessione bioetica e normativa di questo tipo non si richiede, ne prevede, l’ipotesi rischio zero (2) che sa- rebbe oltre che improbabile, paralizzante, ma si sot- tolinea l’importanza di un margine di azione o non azione che prenda in considerazione, come dirimente, la possibilità del rischio e non solo la certezza dello stesso. Per sviluppare un atto scientifico in modo coe- rente con il benessere umano, è necessario che il rischio venga valutato come rischio probabile per il singolo e non solo su larga scala. (3).
Inoltre, si dovrebbe considerare la valutazione del rischio come parte integrante del lavoro scientifico (4) e di ricerca e sviluppo in ognuno dei tre campi fonda- mentali: salute, ambiente, alimentazione.
Ad esempio, uno studio sui possibili effetti di un additivo o sull’impatto di un Nove Food nell’alimen- tazione quotidiana è la base da cui partire per norma- re una sana commercializzazione del prodotto di cui trarranno vantaggio anche le dinamiche economiche di mercato. Un’avanzata e raffinata valutazione del ri- schio possibile rappresenta di per sé un progresso tec- nologico e come tale uno strumento neutro, non uno spartiacque tra ciò che è giusto o sbagliato, ma un me- tro da tutti fruibile per valutare ciò che è funzionale e ciò che non lo è.
In ambito alimentare, o per dirla con lo slang dei nuovi mercati globali, in ambito food stiamo as- sistendo ad un giro di boa virtuoso o almeno che si propone di essere tale. Buona parte della nuova in- dustria alimentare sta investendo risorse nella ricerca di prodotti finiti che pur soddisfacendo le esigenze di gusto del consumatore, possano definirsi come “sani”. Come spesso accade i due estremi del junk food e del salutismo estremo hanno generato consapevolezza da entrambi i lati del tavolo, da parte di chi acquista e di chi produce.
Questa consapevolezza che inizialmente si è mos- sa in maniera insicura e autonoma è ora maggiormente normata, in particolar modo a livello europeo e ne è un chiaro esempio il Reg. (UE) 1169/2011. L’obbligo di trasparenza nelle informazioni imposto dalla nor- mativa europea ha bilanciato l’onere della prova di cui
sopra, se da una parte chi produce è tenuto ad eviden- ziare la sua scelta qualitativa, bassa, media o alta che sia, dall’altra chi fruisce del servizio, consumatore è una parola per certi versi molto riduttiva, ha acquisito più strumenti per scegliere ciò che ritiene più in linea con le sue esigenze.
In questo modo la normativa si sta evolvendo da paternalista a liberalista e la vastissima scelta presen- te sul mercato, pur avendo delle complessità logistico economiche non indifferenti, per altri versi rappresenta una crescita etica che tocca tutti noi in quanto attori dei mercati attuali.
In conclusione, dovrebbe essere la tensione co- struttiva tra le ragioni dello sviluppo e quelle della prevenzione a favorire la crescita di un mercato eti- co e tecnologicamente avanzato che non si avvale di una soluzione universale, ma si applica di volta in volta per ricercare strategie funzionali che non sacrifichino la protezione del singolo caso. La responsabilità è e rimane nelle mani di ognuno di noi, ma con il peso dell’individuale consapevolezza a renderle più o meno capienti.
Bibliografia
1. Regolamento (CE) N. 178/2002 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 28gennaio 2002 che stabilisce i principi e i requisiti generali della legislazione alimentare, istituisce l’Au- torità europea per la sicurezza alimentare e fissa procedure nel campo della sicurezza alimentare.
2. Westra L. Faces of environmental racism. Lanham: Rowman & Littlefield; 1995.
3. Shiva V. Staying alive: women, ecology, and development. London: Zed Books; 1988.
4. Martuzzi M, Mitis F, Forastiere F. Inequalities, environmen- tal justice in waste management and health. The Europ J Pu- blic Health 2010; 20:21-6.
Corrispondenza: Giordana Pagliarani Dipartimento di Filosofia
Sapienza Università di Roma, Roma E-mail: [email protected]