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Sistema Museale Universitario Senese, Università di Siena, Siena

Medicina Historica 2020; Vol. 4, Suppl 1: 193-195 © Mattioli 1885

M e d i c a l h u m a n i t i e s

Quaranta anni fa la legge 833 del 1978 istituiva in Italia il Servizio sanitario nazionale. Il diritto alla sa- lute veniva sancito sulla base di specifici principi quali l’universalità dei destinatari, tali in quanto cittadini, la globalità delle prestazioni, che prevedevano non solo diagnosi e cura ma anche prevenzione e riabilitazione, l’eguaglianza del trattamento, il rispetto della dignità e della libertà della persona.

Al di là di tali indicazioni normative, resta il fatto che la possibilità di cura dipende da ciò che offre la scienza e da un sistema più ampio di valori, di capacità, di sensibilità appartenenti sia al medico che al malato. Questo è ancor più vero se si tiene conto del fatto che il ‘modo di essere malato’ ha a che fare con i bisogni più intimi di una persona, con la sua identità, la sua emo- tività e le sue paure. La cura non può dunque limitarsi a semplici procedimenti preordinati e il medico dovrà possedere sensibilità e grandi abilità personali, oltre che una buona preparazione scientifica.

È necessario, quindi, un ribaltamento culturale per far sì che la medicina tecnologica, alla quale ovvia- mente oggi non si può né si vuole rinunciare, restituisca spazio alla conoscenza e all’analisi dei sintomi e degli stati soggettivi del malato che ‘sente’ e vive la ‘propria’ malattia in maniera del tutto personale. Infatti, nella medicina con la quale ogni giorno ci troviamo a fare esperienza, quella doctor/disease centered, rivestono un ruolo fondamentale le competenze del medico ri- volte alla cura della malattia (disease), spesso deconte- stualizzata dalla persona che ne è afflitta. Nella medi- cina patient centered invece assume particolare valore il vissuto (illness) del malato, rivelatore non solo delle vicende personali, ma anche […] dei modelli culturali interiorizzati che orientano l’esperienza di malattia.

Fatta questa premessa, proviamo a contestualiz- zare queste tematiche nell’ambito, solo a prima vista distante, dei musei universitari specializzati in storia della medicina e della strumentazione medica.

L’esempio che proponiamo è quello del Museo di Strumentaria medica dell’Università di Siena, struttu- rato in una serie di percorsi dedicati alle discipline di base della medicina e ad alcune sue specializzazioni. Ciascun percorso prevede una specifica esperienza che si realizza attraverso la conoscenza diretta, visiva e tat- tile, degli antichi strumenti medici e scientifici raccolti in oltre 20 anni dal Centro Universitario per la Tutela e la Valorizzazione dell’antico Patrimonio scientifico (CUTVAP) e il racconto, una sorta di storytelling, proposto dall’operatore museale direttamente o per il tramite di video che riportano interviste a professioni- sti e testimoni di una specifica branca della medicina.

Il percorso che più di altri può introdurre in ma- niera diretta a un approccio tipico delle Medical Hu- manities è quello dedicato al medico condotto.

Questa particolare figura, oltre a ricoprire il ruo- lo di ufficiale medico, è stato fino a qualche decennio fa il tutore della salute di intere comunità e univa alla preparazione e all’esperienza professionale quella co- noscenza del malato e della famiglia che acquisiva nel corso delle visite. Attraverso la pratica di ascolto del racconto del paziente, o di chi comunicava in sua vece, il medico riusciva a districarsi tra la molteplicità delle componenti da comprendere per prefigurare una dia- gnosi e un metodo di cura, per giungere al recupero della salute.

Per mezzo della anámnēsis il medico condotto ot-

teneva informazioni importanti per svolgere la propria funzione, richiamando, e ripristinando a un tempo, un

D. Orsini

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positivo rapporto medico-paziente e l’antico nesso di familiarità tra medicina e scienze umane.

Se esaminiamo il contenuto della “borsa del medi- co condotto” – ed è questa una delle fasi fondamentali nel percorso di formazione degli studenti dei corsi di laurea in Medicina e in Professioni sanitarie attraver- so l’esperienza museale – scopriamo che questo indi- spensabile accessorio di una attività tanto varia quanto impegnativa conteneva una strumentazione assai po- vera, con la quale doveva far fronte alle urgenze, con interventi di chirurgia esterna, ortopedia, odontoiatria, oculistica, ginecologia, ostetricia e pediatria, e all’oc- correnza somministrando farmaci che portava con sé. Si tratta di strumenti che permettevano di avere una misura quantitativa dei sintomi – rilevazioni ‘arti- ficiali’ e quindi meno soggettive – come termometri e sfigmomanometro, e a partire dalla metà del Novecen- to anche di kit per le più semplici analisi chimiche di laboratorio dei liquidi biologici.

Nel Museo di Strumentaria medica si conserva- no, derivanti da donazioni di vari medici, un emometro Galileo-Hellige a prismi colorati che dosava l’emoglo- bina presente nel sangue al pari di altri strumenti al- trettanto diffusi come l’emometro di Sahli, un conta- globuli di Thoma per la conta manuale dei leucociti, glucometri per il dosaggio del glucosio nelle urine.

Ma, al di là della possibilità per il medico condot- to di utilizzare questo piccolo reagentario che doveva portare con sé durante le visite, è abbastanza evidente che la sua attività era fondamentalmente centrata sul paziente, sull’esame dei sintomi che il suo corpo pre- sentava e, attraverso il colloquio, sulla co-costruzione del significato del vissuto di malattia che il malato stes- so poteva riferire.

Si instaurava in questo modo un rapporto di fidu- cia e uno scambio di promesse tra il medico e l’amma- lato, il cui obiettivo era quello di promuovere la guari- gione e soprattutto il benessere di quest’ultimo.

Per questo il giovane che si prepara a essere me- dico deve necessariamente acquisire anche conoscenze diverse da quelle che caratterizzano il proprio ambi- to di studio. Deve saper ascoltare il paziente, essere pronto a comprendere quanto egli ha da dire, tenendo conto che il malato può in alcuni casi enfatizzare un sintomo per paura o per un particolare vissuto, deve saper comunicare con un linguaggio semplice e ac-

cessibile, rassicurando e spiegando a cosa servono le indagini che intende fare e illustrando la diagnosi e la relativa terapia, assicurandosi che il malato abbia com- preso. È ciò che viene indicata come Health Literacy, la consapevolezza da parte del malato del proprio pro- blema di salute e delle decisioni conseguenti, risultante dall’appropriatezza della comunicazione oltre che dalla preparazione culturale dell’assistito.

In questo modo il medico potrà sviluppare e met- tere in atto un percorso di cura in linea con le indica- zioni che gli derivano dall’Evidence-Based Medicine, al contempo personalizzato grazie alle indicazioni ri- cevute dal paziente stesso.

Tale metodica, che nel mondo anglosassone è co- nosciuta come Narrative-Based Medicine, si integra appunto alla medicina basata sulle evidenze e contri- buisce ad attivare la partecipazione diretta del paziente (1).

D’altra parte, spiega Rita Charon, che alla Co- lumbia University di New York ha fondato il corso di Medicina Narrativa, «i malati hanno bisogno di medici che capiscano il loro star male, ascoltino i loro proble- mi e li accompagnino attraverso la loro malattia» (2).

Utilizzando un’espressione di Viktor von Weizsä- cker, figura di spicco della medicina tedesca del Nove- cento, la finalità principale delle Medical Humanities è infatti la «reintroduzione del soggetto in medicina», e pertanto del suo sapere sulla malattia.

E in tal senso i percorsi didattici e divulgativi atti- vati dal Museo senese di Strumentaria medica, sui quali si modellano le stesse sezioni espositive, rispondono a tale obiettivo, mostrando le capacità di interazione del medico condotto con il paziente o il sapere esperien- ziale delle levatrici che prima dell’ospedalizzazione dei parti assistevano in casa le donne con professionalità ed empatia. O, prendendo spunto da una camicia di forza, possono ripercorrere, in senso contrario a quan- to in realtà avveniva, la storia del malato di mente per restituirgli dignità attraverso quella che, nella seconda metà dell’Ottocento, nel manicomio senese Carlo Livi definì «cura morale».

Possiamo dunque affermare che le esperienze che il Museo di Strumentaria medica propone sono veri e propri laboratori didattici che, avvalendosi del patrimonio culturale scientifico che i musei del Si- stema Museale dell’Ateneo senese conservano, sono

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finalizzati a far comprendere agli studenti dei corsi universitari di ambito scientifico e medico la necessi- tà di acquisire – integrando i propri ambiti di studio con discipline diverse – anche capacità di ascolto e di relazione, di utilizzo di un linguaggio adeguato e com- prensibile e di espressioni empatiche, fondamentali in seguito per ‘curare’ al meglio le persone.

D’altro canto, responsabilità educativa e svilup- po sociale sono alla base delle attività dei musei del Sistema Museale Universitario Senese (SIMUS), che sempre più diventano strumenti di education, mezzi per trasmettere conoscenze per la crescita della società e soprattutto dell’individuo inteso nella sua complessità di essere fisico e spirituale.

Bibliografia

1. Cardinale AE. “Medical Humanities” in the age of technolo- gical and informatics medicine. Med Histor 2018; 2:57. 2. Miselli V. Narrative medicine. Intervista con Rita Charon,

Doppiozero, 4 marzo 2015. https://www.doppiozero.com/ materiali/commenti/narrative-medicine-intervista-con-rita- charon.

3. Charon R. Narrative Medicine: Honoring the Stories of Ill- ness. Oxford: University Press; 2006.

4. Charon R. Principles and Practice of Narrative Medicine. Oxford: University Press; 2017.

Corrispondenza: Davide Orsini

Sistema Museale Universitario Senese, Università di Siena, Siena

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