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1Ammiraglio Ispettore Capo (r); 2Società Italiana di Storia della Medicina

Medicina Historica 2020; Vol. 4, Suppl 1: 159-160 © Mattioli 1885

S t o r i a d e l l a M e d i c i n a d e l L a v o r o

L’Italia fu tra le prime nazioni europee a pro- gettare e costruire dei sommergibili, il primo, in do- tazione alla Regia Marina, venne costruito nel 1892 presso l’Arsenale Militare di La Spezia, fu chiamato Delfino; era stato progettato dall’ingegnere Giacinto Pollino, aveva un dislocamento di circa 100 tonnella- te; era lungo 24 metri e largo 3, con un equipaggio di 8 uomini ed una velocità di 5 nodi. Contestualmente venivano attentamente studiati i problemi relativi alla sicurezza degli equipaggi che vivevano e lavoravano in un ambiente confinato e, quando in missione, spesso sotto la superficie del mare. Particolare attenzione era riservata al microclima, alle tecniche del rinnovamento dell’aria e alle sostanze chimiche capaci di rigenerala. All’inizio del secondo conflitto mondiale l’Italia aveva in linea ben 117 sommergibili e nella base navale di Massaua in Mar Rosso ne stazionavano otto. Così il 10 giugno 1940 venne dato l’ordine al Tenente di Va- scello Moroni, comandante del sommergibile Macallè di dirigere verso Port Sudan, base navale inglese, sulla costa sudanese, e tenersi in agguato. Ma già nel pri- mo giorno di navigazione alcuni marinai presentano segni di intossicazione, all’inizio attribuita a ingestio- ne di cibi guasti o ad anidride carbonica accumulatasi nei locali lanciasiluri. Ma il numero di casi aumenta e la sintomatologia si fa più chiara: alcuni pronunciano frasi prive di senso, girano nudi per i locali, perdono il controllo delle loro azioni. La causa è dovuta a perdita del gas perfrigerante il cloruro di metile un gas tos- sico, incolore ed inodore, utilizzato peraltro in tutti i sommergibili della Marina, ma questa missione si svol- geva in un teatro operativo particolare: il Mar Rosso con il suo clima torrido che costringeva a utilizzare il condizionatore in modo prolungato, con l’inevitabile sollecitazione delle condutture. Anche il comandante e

l’ufficiale di rotta sono coinvolti sia pure in modo lieve; la zona è piena di isolotti, secche e scogli, così il som- mergibile, anche per effetto delle correnti, si incaglia in prossimità dell’isolotto disabitato di Barr Musa Seghir, ed affonda dopo quattro ore; l’equipaggio, dopo aver distrutto documenti segreti e cifrari, riesce a raggiun- gere la terraferma, ma le condizioni di un marinaio il sottocapo silurista Carlo Acefalo si aggravano, mori- rà il giorno dopo e lì verrà sepolto. Con una piccola imbarcazione il guardiamarina Sandroni e due mari- nai tentano di raggiungere la costa eritrea per chiedere soccorsi; la fortuna li aiuta e da Massaua viene inviato un velivolo che sorvolò l’isolotto lanciando un messag- gio e dei viveri e tutto l’equipaggio verrà recuperato il 22 giugno dal sommergibile Guglielmotti. Una sorte simile subiranno i sommergibili Perla, Galilei e Archi- mede. Il primo, il Perla, doveva recarsi in agguato nel golfo di Tagiura, nel raggio di 15 miglia da Ras el Bir, ma poco prima di passare lo stretto di Bab el Mandeb si verificano casi di intossicazione da cloruro di metile, che in poco tempo coinvolgono gran parte dell’equi- paggio, alcuni sono gravissimi né le iniezioni di olio canforato risultano efficaci; si decide per il rientro ma vengono intercettati da unità inglesi, il sommergibile si incaglia ed è oggetto del tiro degli inglesi, si rispon- de con il cannone che dopo alcuni colpi si inceppa. Il comportamento dell’equipaggio è esemplare (all’elet- tricista Forgiarini sarà decretata la Medaglia d’Oro alla memoria) l’Ufficiale in 2° T.V. Simoncini, si spegne serenamente tenendosi aggrappato all’asta della ban- diera, una resistenza che susciterà l’ammirazione degli inglesi. Alcuni giorni dopo alcune unità navali italiane raggiunsero il Perla, lo disincagliarono e rimorchiano fino a Massaua e dopo radicali lavori viene rimesso in efficienza. Un altro sommergibile l’Archimede giunge

V. Martines

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nella zona di agguato tra Aden e Gibuti, si verifica una perdita di cloruro di metile, alcuni marinai muoiono, il battello rientrerà ad Assab con la bandiera a mezz’a- sta. Infine il Galilei che allo scoppio delle ostilità era giunto nelle acque davanti Aden il 12 giugno aveva affondato la petroliera norvegese “James Stowe” il cui carico era destinato agli inglesi, passerà poco tempo quando si verificarono diversi casi di intossicazione da vapori di cloruro di metile; il giorno successivo venne attaccato da siluranti inglesi, venne ingaggiato il com- battimento, una cannonata raggiunse il sommergibile provocando diversi morti tra cui l’ufficiale in secon- da, il comandante Nardi fu ferito, l’unità fu catturata e portata ad Aden. Così nel luglio del 1940 Supermarina provvederà ad inviare scorte di freon, gas perfrigerante non tossico (finalmente prodotto dall’industria nazio- nale) nella base di Massaua, che sostituì il pericoloso cloruro di metile. La vicenda del Macallè non si con- clude con il suo affondamento. Un documentarista argentino Ricardo preve, nel 2014 sta girando un do- cumentario in Mar Rosso, viene a sapere della vicen- da del sommergibile italiano, si rende conto che non

è possibile recuperarlo essendo in un fondale di 400 metri. Nell’isolotto di Barr Musa si ritrova un vecchio autorespiratore piantato sulla sabbia a mò di croce, si scava e si trovano dei resti che verranno esaminati da un antropologo forense e da un archeologo. Tutto fa pensare che si tratti di Carlo Acefalo. I resti vengo- no trasportati a Karthum e poi in Italia a Savona ac- colti con gli onori militari, presente il commissario di Onorcaduti, il generale di divisione Alessandro Veltri per poi raggiungere Castiglione Falletto nelle Langhe, paese natale di Acefalo.

Bibliografia

1. Turrini A. Sommergibili italiani fra le due guerre mondiali. Roma: Stilgrafica; 1990.

2. Meneghini T. Cento sommergibili non sono tornati, Roma: C.E.N.; 1980.

Corrispondenza: Vincenzo Martines

Società Italiana di Storia della Medicina E-mail: vinko.martines@gmail.com

Il lavoro femminile ai primi del Novecento: fisiopatologia

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