inquinamento dell’aria negli ambienti di vita e di lavoro
Paolo Carrer
1, Michele Augusto Riva
21Dipartimento di Scienze Biomediche e Cliniche “L. Sacco”, Università degli Studi di Milano, Milano; 2Dipartimento di Medicina
e Chirurgia, Università degli Studi di Milano Bicocca, Milano
Medicina Historica 2020; Vol. 4, Suppl 1: 145-147 © Mattioli 1885
S t o r i a d e l l a M e d i c i n a d e l L a v o r o
Qualità dell’aria e salute in età preindustriale
L’importanza della qualità dell’aria per la salute dell’uomo era già evidente dall’antichità. In un trat- tato appartenente al “Corpus Hippocraticum” si può leggere, ad esempio, che “è evidente che in tutte le malattie i fiati [movimenti dell’aria] esplicano una funzione fondamentale: tutto il resto è causa conco- mitante ed accessoria, mentre ho dimostrato che que- sta è la causa delle malattie” (Venti, 15) (1). In epoca moderna, lo scienziato tedesco Georg Agricola (1494- 1555) nel suo “De Re Metallica” (1556) propose la co- struzione di macchine per la ventilazione e l’aerazione delle gallerie delle miniere e di pozzi profondi. Nel corso del XVII secolo, venne redatta la prima opera medica ad occuparsi specificatamente del problema dell’inquinamento dell’aria, il “Fumifugium” di John Evelyn (1620-1706), nella quale venne suggerito di spostare tutte le attività lavorative inquinanti ad una distanza di almeno 5-6 miglia da Londra e di piantare all’interno della città alberi e fiori per purificarne l’aria (1). Anche Bernardino Ramazzini (1633-1714) nella sua celebre opera “De Morbis Artificum” (1700) di- scusse approfonditamente i rischi per la salute connes- si all’inalazione di polveri ed arie tossiche nelle attività lavorative e anche della salubrità dell’aria al di fuori degli ambienti di lavoro (es. diatriba tra un cittadino e il proprietario di una adiacente fabbrica accusato di causare la emissione di sostanze dannose nell’ambien- te circostante) (1).
Lo studio della qualità dell’aria negli anni della Rivoluzione industriale
Nel Settecento, grazie allo sviluppo della chimi- ca pneumatica, si individuò la presenza dell’ossigeno, definito all’epoca con il termine di “aria deflogisticata”. Il milanese Marsilio Landriani (1751-1815), docente di fisica presso il Ginnasio di Brera, costruì uno stru- mento, da lui denominato “eudiometro” per valutare la salubrità dell’aria mediante l’analisi del contenuto di “aria deflogisticata”: la scarsità di questa componente era considerata indice di insalubrità dell’aria (2). Lan- driani confondeva, però, il concetto di salubrità dell’a- ria con quello di respirabilità e, per tale ragione, il suo eudiometro ebbe uno scarso successo in ambito medi- co ma fu sviluppato da altri scienziati quali Alessandro Volta e Antoine-Laurent de Lavoisier.
L’interesse per lo studio dell’inquinamento dell’a- ria si mantenne elevato anche nei decenni successivi. Il tema della ventilazione degli edifici venne approfon- dito da Thomas Tredgold (1788-1829), il quale fornì nel 1824 la prima stima, pari a 2 l/s per persona, per la portata dell’aria esterna necessaria negli edifici (3). Fu tuttavia Max Joseph von Pettenkofer (1818-1901) a sviluppare il tema della adeguata ventilazione degli edifici in rapporto alla salute ed al comfort degli occu- panti, conducendo ampi studi epidemiologici in case, scuole e altri edifici. Il chimico e igienista tedesco in- dicò la CO2 come proxy per la ventilazione e nel 1885 propose come valore di riferimento 1000 ppm di CO2
P. Carrer, M.A. Riva
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(4). “Il numero di Pettenkofer” viene utilizzato ancora oggi in numerosi standard come indicazione di venti- lazione sufficiente per diluire gli inquinanti associati al metabolismo umano e di qualità dell’aria interna ac- cettabile (5).
Nel 1887 uno studio sugli ambienti interni delle case e della salute pubblicato in Scozia dimostrò che vivere e dormire in stanze affollate, con livelli elevati di CO2, significava una morte precoce da morbillo, par- to prematuro, bronchite e polmonite (6). L’attenzione verso la qualità dell’aria si stava però spostando verso l’aria ambientale esterna (aria outdoor). A fronte dei mi- glioramenti apportati in alcune fabbriche, la diffusione della Rivoluzione industriale e l’impiego massiccio del carbone come principale combustibile, determinarono un considerevole peggioramento della qualità dell’aria ambientale nelle grandi città industriali europee. Lon- dra aveva iniziato ad emanare, a metà dell’Ottocen- to, le prime norme sull’abbattimento dei fumi. Questi provvedimenti erano però limitati ai fumi provenienti dalle fornaci delle grandi industrie, ignorando com- pletamente l’inquinamento derivato dal riscaldamento domestico. Neppure i successivi interventi legislativi inglesi, tra i quali ricordiamo gli “Alkali Acts” del 1862 (i primi ad istituire la figura dell’ispettore addetto al controllo delle emissioni atmosferiche delle fabbriche) e il “Public Health Act” del 1875, avevano inserito norme per il controllo dei fumi provenienti dalle abi- tazioni private (1).
Qualità dell’aria outdoor e indoor nel Novecento
Nel corso del Novecento, l’assenza di una valida legislazione e la scarsa osservanza delle poche norme disponibili, unite a particolari condizioni climatiche, determinarono il verificarsi, in Belgio e negli Stati Uniti, di alcuni “disastri” ambientali con ricadute ri- levanti anche sullo stato di salute della popolazione (Valle della Mosa, Liegi, dicembre 1930; Donora, Pittsburg, novembre 1948) (1). Nel Regno Unito l’au- mento del trasporto urbano pubblico e privato, insieme all’assenza di una legislazione specifica sulle emissioni domestiche, provocarono, durante l’inverno londinese del 1952, un picco di inquinamento dell’aria (“Great Smog”), responsabile di un rilevante incremento di
mortalità (4000 unità). Questa elevata percentuale di decessi costrinse gli organi di governo britannici ad affrontare la questione da un punto di vista legislati- vo, attraverso la promulgazione, nel 1956, del “Clean Air Act” che, per la prima volta, affrontò il problema delle emissioni domestiche (1). L’evidenza scientifica dei danni alla salute provocati dalle frazioni del parti- colato atmosferico (PM10), portò, nella seconda metà
degli anni Novanta, l’Unione Europa ad emanare due specifiche direttive (1999/30/EC e 96/62/EC) di re- golamentazione delle emissioni urbane, poi recepite in Italia nel D.M. 60 del 2 aprile 2002. Le norme europee sono state poi integrate con la direttiva 2008/50/EC che, adeguandosi al progresso delle conoscenze scien- tifiche, fissa limiti in riferimento anche al PM2,5.
A metà del Novecento, a fronte del susseguirsi di problematiche di inquinamento ambientale, l’aria degli ambienti interni non industriali “ambienti indoor” era considerata protettiva. Frequenti erano le indicazioni riassumibili nella frase “Chiudi la finestra per evitare che arrivi aria cattiva” (7). Un’ulteriore ragione per cui le agenzie per la protezione dell’ambiente, ad esempio anche quella statunitense (US EPA), non si occupava- no dell’aria indoor, era che l’ambiente interno, special- mente in casa, era considerato un ambito privato con cui i governi non dovevano interferire: “La casa di un uomo è il suo castello” (7). Negli anni Sessanta vengo- no pubblicati i primi lavori scientifici che dimostrano chiaramente i possibili effetti sulla salute della qualità dell’aria di ambienti indoor. Si segnalano, ad esempio, gli studi che dimostrano che gli acari della polvere di casa erano una delle principali cause di allergie (8-9).
La rilevanza della importanza della qualità dell’a- ria indoor sulla salute dell’uomo venne definitivamente riconfermata negli anni Settanta. Negli edifici furono impiegati nuovi materiali da costruzione e di arredo, nuovi prodotti di consumo; l’aria condizionata diven- ne sempre più comune e, per risparmiare energia, gli edifici vennero resi più sigillati e meno ventilati. In questo periodo, Ole Fanger (1934-2006) svolse le sue ricerche sul comfort microclimatico che portarono alla definizione degli indici di benessere termico PMV (Predicted Mean Vote) e PPD (Predicted Percentage Dissatisfied) che rappresentano ancora oggi un punto di riferimento (10). Nel 1976 si sviluppò un’epidemia di polmoniti in occasione di un congresso di veterani
Dall’eudiometria alla valutazione della qualià dell’aria indoor 147
di guerra (legionari) la cui causa era stata lo sviluppo e poi la diffusione nell’impianto di condizionamento di un batterio, fino ad allora non noto e denominato, appunto, Legionella pneumophila (11). Le misurazio- ni di inquinanti come i composti organici volatili e la formaldeide evidenziano che le loro concentrazioni in ambienti indoor sono spesso superiori rispetto all’a- ria esterna e quindi che possono porre seri problemi per la salute degli occupanti (11). In particolare studi condotti in edifici ad uso ufficio in USA, Danimarca e Svezia hanno evidenziato elevate prevalenze di distur- bi/discomfort tra gli occupanti di questi edifici attri- buibili ad una scarsa qualità dell’aria indoor, andando a definire ciò che in seguito l’Organizzazione mondia- le per la sanità chiamerà la “Sick Building Syndrome (SBS)” (12).
Bibliografia
1. Riva MA, Cesana GC. La “salubrità” dell’aria: analisi stori- ca degli studi della correlazione tra salute ed inquinamento dell’aria negli ambienti di vita e di lavoro. G Ital Med Lav Erg 2010; 32:37-40.
2. Landriani M. Ricerche fisiche intorno alla salubrità dell’aria. Milano; 1775.
3. Tredgold T. The Principles of Warming and Ventilating Pu- blic Buildings, Dwelling - Houses, Manufactories, Hospitals, Hot Houses, Conservatories & c. London: Josiah Taylor; 1824.
4. von Pettenkofer M. Über den Luftwechsel in Wohngebäu- den. J.G. Cottasche; 1858.
5. Carrer P, de Oliveira Fernandes E, Santos H, Hänninen O, Kephalopoulos S, Wargocki P. On the Development of Health-Based Ventilation Guidelines: Principles and Framework. Int J Environ Res Public Health 2018; 15(7):E1360.
6. Carnelley T, Haldane JS, Anderson AM, Roscoe HE. The carbonic acid, organic matter, and microorganisms in air, more especially of dwellings and schools. Philos T Roy Soc B 1887;178:61-111.
7. Sundell J. On the history of indoor air quality and health. Indoor Air 2004;14:51-8.
8. Voorhorst R, Spieksma-Boezeman MI, Spieksma FT. Is a mite (Dermatophagoides sp.) the producer of the house dust allergen? Allerg Asthma 1963;10:329-34.
9. Pepys J, Chan M, Hargres FE. Mites and house-dust allergy. Lancet 1968;291:1270-2.
10. Fanger PO. Thermal Comfort. Copenhagen: Danish Tech- nical Press; 1970.
11. Maroni M, Seifert B, Lindvall T. Indoor Air Quality: A Comprehensive Reference Book. Amsterdam: Elsevier Science Ltd; 1995.
12. World Health Organization. Indoor air pollutants: exposure and health effects, Copenhagen, WHO Regional Office for Europe. Reports and studies No.78. 1983.
Corrispondenza: Paolo Carrer
Dipartimento di Scienze Biomediche e Cliniche “L. Sacco” Università degli Studi di Milano, Milano