Marta Licata, Paola Badino
Centro di Ricerca in Osteoarcheologia e Paleopatologia, Dipartimento di Biotecnologie e Scienze della Vita, Università degli Studi dell’Insubria, Varese
Medicina Historica 2020; Vol. 4, Suppl 1: 125-126 © Mattioli 1885
P a l e o p a t o l o g i a e p a t o g r a f i a
Nella seconda metà del XIX secolo, lo sviluppo delle ricerche naturalistiche e sociali alimentò il desi- derio di riscatto della psichiatria forense da un pas- sato “spiritualistico” (in cui la malattia mentale era interpretata senza alcun riferimento alla dimensione organica) da cui si voleva prendere le distanze. In par- ticolare, sulla base delle teorie antropo-psicologiche e biologiche, proprie del positivismo, si sviluppa l’idea che molti comportamenti umani siano sottratti dal controllo individuale e dalle sollecitazioni interiori per essere determinati da fattori sociali, culturali e biologi- ci dell’uomo.
Nasce in questo contesto la ricerca delle “determi- nanti”, ovvero delle cause che spingono all’attuazione dell’azione criminosa, attraverso l’individuazione delle anomalie antropologiche, soprattutto a livello cranico nonché lo studio di metodi osservazionali positivi em- pirici per definire le forme psichiatriche e distinguere il tipo pazzo, il delinquente e altri.
Il cranio, quale distretto anatomico strettamente connesso alla materia cerebrale, poteva esprimere nella forma la sostanza? Una malformazione anatomica del cranio poteva palesare una malattia mentale?
L’associazione anomalia anatomica - anomalia della psiche rappresentava, secondo la psichiatria del tempo, uno strumento diagnostico immediato per in- dividuare macroscopicamente la malattia mentale.
Passando in rassegna la letteratura di quel periodo in Italia, in particolare la “Rivista di Psichiatria Forense, Antropologia Criminale e Scienze Affini” e la “Rivista sperimentale di Freniatria” - si evince l’importanza che le metodiche antropologiche-antropometriche stavano acquisendo nel mondo della psichiatria clinica (1, 2).
L’individuazione di più anomalie fisiche, in special modo a livello cranico, orientava verso ragionamenti diagnostici che in clinica determinavano una diagnosi; talvolta, però, anche solo una anomalia cranica o un’al- terazione antropometrica si ponevano come determi- nanti per la rilevazione di una patologia psichiatrica.
Queste eccessive ambizioni del positivismo bio- logico non potevano non suscitare delle perplessità da parte del mondo scientifico accademico. Infatti, tra le discutibili generalizzazioni dell’antropologia criminale lombrosiana, quella legata agli studi antropometrici sul cranio suscitò non poche critiche all’interno della co- munità scientifica della psichiatria forense.
Diversi antropologi, in special modo coloro che aderivano alle dottrine lombrosiane, elaboravano teo- rie, basate sul metodo osservazionale diretto, che dove- vano dimostrare relazioni tra le caratteristiche psicolo- giche-psichiatriche e sociali delle persone e la forma del cranio. In questo modo cercavano di determinare le leggi antropologiche sulla devianza.
Anche tra i sostenitori dell’antropologia criminale vi erano opinioni contrastanti in merito alla diagnosi psichiatrica tramite l’ausilio di strumenti antropome- trici volti a definire le “personalità anomale” attraverso il calcolo dell’indice cefalico. Dal momento in cui la te- oria dell’evoluzione si diffuse negli orientamenti della comunità scientifica italiana, l’antropologia biologica, in particolare la craniologia oltrepassò i confini natura- listici acquistando pieno diritto di cittadinanza anche nel campo della Psichiatria forense.
Un attento esame della letteratura scientifica na- zionale di quegli anni risulta indispensabile per definire come lo studio della craniometria poteva diagnosticare
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le patologie psichiatriche o, addirittura, il “tipo crimi- nale”. In particolare, la ricerca si è focalizzata su quanto pubblicato nella letteratura di quel periodo da antro- pologi e psichiatri che contrastavano il determinismo criminale basato sull’antropometria individuale ed, in particolare, sull’osservazione metrica del cranio (3,4).
Il prevalere delle teorie darwiniane sui principi del creazionismo e della fissazione della specie sollecitò l’elaborazione di un’antropologia nuova, dove il biolo- gismo pretendeva di provare qualsiasi patologia, anche una malattia mentale, percepita ancora, in quei tempi, come un qualcosa di astratto. Quindi il biologismo an- tropologico divenne un modello diagnostico, progno- stico e interpretativo condiviso nel campo psichiatrico quando, attraverso l’osservazione dei caratteri antro- pologici “anomali” si pensava di stimare, individuare e addirittura classificare le patologie psichiatriche e neu- rologiche e naturalmente le varie forme di pazzia e di criminalità (5). Dall’esame della letteratura è eviden- te il modo in cui gli antropologi criminali tramite le anomalie craniche e gli indici craniometrici definivano le personalità. In particolare, è nel calcolo dell’indice cefalico che le critiche si concentrano con una certa intensità. Infatti, in base alla morfometria del cranio si distinguevano le “razze umane” in dolicocefale, me- socefale e brachicefale. Un’ulteriore distinzione diffe- renziava le anomalie antropologiche in ataviche dalle altre. Con il termine anomalie ataviche si designava- no le caratteristiche anormali causate da arresti dello sviluppo individuale (ontogenetico) (6). L’espressione del carattere atavico individuava una sorta di probabile filogenesi abbreviata che determinava quindi la ripro- duzione di “quei” caratteri animali presenti nella no- stra storia evolutiva. Per molti antropologi il confronto con i caratteri tassonomici degli “animali inferiori” e le anomalie antropologiche ataviche individuate nei pazienti affetti da disturbo mentale induceva a consi- derazioni importanti nella diagnosi in psichiatria. Ad esempio, alcune anomalie craniche come il prolunga- mento esterno del solco occipitale parietale - che nelle scimmie rappresenta un carattere fisiologico- non po- tevano non essere considerate come ataviche e quindi come espressione di una personalità ancestrale.
A tal proposito, è interessante riportare all’atten- zione dei lettori le critiche espresse da Pasquale Penta il quale sottolinea che le anomalie antropologiche di una natura endogena e non esogena sono quelle che portano al grave risultato di degenerazione psichica e antropologica. Secondo lo psichiatra e antropologo, i discendenti dei sifilitici, degli alcolisti ecc., spesso na- scono con anomalie antropologiche molto gravi. In particolare, il pensiero di Penta, che meglio esprime la criticità nei confronti di un eccessivo approccio posi- tivistico alla diagnosi mediante associazione “anomalia antropologica-anomalia della personalità”, è la convin- zione che l’uomo completamente normale, cioè senza imperfezioni, non può che essere il prodotto dell’im- maginazione dell’artista (non esiste in natura). Ognu- no di noi ha un lato debole nell’intelligenza, nel carat- tere e nelle forme antropologiche senza essere malato.
Bibliografia
1. Penta P. Sul meccanismo patogenetico, il significato ed il va- lore clinico delle anomalie antropologiche in Psichiatria ed in Antropologia Criminale (Dalle lezioni di Psichiatria e di Antropologia Criminale dettate agli studenti di Medicina e di Giurisprudenza nell’anno scolastico 1899-1900). Rivista di Psichiatria Forense, Antropologia Criminale e Scienze Affini 1900; 3:193-6.
2. Morselli E. L’uomo secondo la teoria dell’evoluzione. Torino: Unione tipografico-editrice torinese; 1911.
3. Penta P. Di alcune più importanti anomalie e del loro signifi- cato regressivo nelle mani e nei piedi dei delinquenti. Napoli: Annali di Nevrologia; 1894, 16.
4. Penta P. Pazzi e delinquenti: prolusione al corso privato di criminologia positiva e psichiatria forense. Napoli: Tocco; 1894.
5. Lombroso C. L’uomo delinquente. Milano: Hoepli; 1876. 6. Penta P. Sul significato ontofilogenetico del processo frontale
nell’uomo. Napoli: Annali di Nevrologia; 1894, 1-2. Corrispondenza:
Marta Licata
Centro di Ricerca in Osteoarcheologia e Paleopatologia Dipartimento di Biotecnologie e Scienze della Vita Università degli Studi dell’Insubria, Varese E-mail: [email protected]