• Non ci sono risultati.

UOS Prevenzione Specifica, UOC Promozione della Salute, Dipartimento di Igiene e Prevenzione Sanitaria, ATS Milano Città Metropolitana

Medicina Historica 2020; Vol. 4, Suppl 1: 153-155 © Mattioli 1885

S t o r i a d e l l a M e d i c i n a d e l L a v o r o

In generale, nell’ambito della prevenzione si è predicata una responsabilizzazione individuale nonché una sorveglianza del corpo, preoccupandosi più di pre- venire determinati comportamenti che di comprendere le cause sociali o le condizioni generali che potrebbe- ro generarli. In parte questa tendenza affonda le sue radici nel percorso che va dalla diffusione del meto- do quantitativo e della ragione statistica alla nascita dell’Evidence Based Medicine, nell’interesse crescente ad oggettivare, quantificare i problemi e dunque anche le soluzioni. Tale interesse può essere fatto risalire ai movimenti di sanità pubblica del XIX secolo quando si scoprì che la diffusione delle malattie, in particolare lo scoppio di epidemie, poteva essere ridotta attraverso azioni concrete che promettevano di raggiungere mol- te più persone rispetto all’approccio terapeutico “uno a uno”. In questo caso però si obiettava che le medie sta- tistiche avevano fornito informazioni adeguate per la predisposizione di politiche d‘intervento, ma forse non erano state ugualmente efficaci per scoprire le cause dirette delle malattie.

La contrapposizione tra “medicina delle prove” e “medicina dell’individuo”, tra metodo scientifico e tradizione, tra oggettivazione e soggettivazione, è un qualcosa che influenza tuttora il campo della tutela della salute e altri aspetti della vita sociale. La nozio- ne di EBM riassume molte delle tensioni e dei timori che hanno caratterizzato questi due secoli di sviluppo del fenomeno dell’oggettivazione restando al centro di un forte dibattito che prosegue tuttora. David Sa- ckett, considerato uno dei padri fondatori dell’EBM, la definisce “un approccio alla pratica clinica dove le decisioni risultano dall’integrazione tra l’esperienza del

medico e l’utilizzo coscienzioso, esplicito e giudizioso delle migliori evidenze scientifiche disponibili, me- diate dalle preferenze del paziente” (1). L’EBM non nasce dal nulla: all’inizio degli anni ’70 un gruppo di clinici e ricercatori aveva avviato la disciplina chiamata Epidemiologia Clinica che ha contribuito ad innova- re le modalità di valutazione critica della qualità della produzione scientifica e di apprendimento. In questo contesto nel 1972 Archibald Cochrane, epidemiologo inglese, suggeriva di rendere disponibili solo gli inter- venti sanitari di documentata efficacia, sollecitando la necessità di migliorare la qualità delle basi scientifiche della medicina moderna. Alcuni principi dell’EBM possono essere fatti risalire al 1830 quando il medico Pierre Louis promosse a Parigi la “Médicine d’Obser- vation”, utilizzando la statistica allo scopo di rispon- dere alle problematiche di povertà e salute pubblica sollevate dai fenomeni di industrializzazione e urba- nizzazione (2). La “legge dei grandi numeri” ricevette un importante contributo dai concetti di frequenza sta- tistica e di norma, dal calcolo delle medie di Adolphe Quetelet nel 1835 (3). Il breve excursus storico sulla diffusione dei metodi quantitativi non può tralasciare un ulteriore passaggio, quello che concerne lo sviluppo delle moderne tecniche di calcolo statistiche di cui è considerato padre fondatore Karl Pearson – siamo agli inizi del ‘900 - che per primo le applicò nell’ambito della medicina.

Il paradigma dell’evidence based ha investito ra- pidamente tutte le professioni sanitarie e le politiche dell’assistenza. Anche nel campo delle dipendenze si è assistito a un affinamento dei modelli di prevenzio- ne (EBP) con sempre maggiore attenzione all’efficacia

N. Vimercati, C. Celata, G. Gelmi, et al.

154

dei risultati e all’uso dei programmi validati, pur non mancando le obiezioni: gli studi valutativi provengono prevalentemente da paesi anglosassoni, profondamente diversi in termini di sistemi valoriali e normativi in ma- teria di sostanze illegali; vi è difficoltà nel rendere stan- dardizzabili e riproducibili programmi preventivi com- plessi; gli approcci quantitativi tralasciano informazioni fondamentali che riguardano il ruolo del contesto, dei fattori sociali, culturali ed economici che lo influenzano. All’interno dei luoghi di lavoro, nel campo del- la prevenzione vi è sempre più la tendenza a spostare l’accento sulla responsabilità individuale. Si colloca qui una sorveglianza del corpo che è connessa all’emergere di un approccio comportamentistico, che si preoccupa più della prevenzione di determinati comportamen- ti che delle cause o condizioni sociali che potrebbero generarle.

Un esempio di questo tipo è l’introduzione del drug-test in azienda, una tecnica di analisi di un cam- pione biologico per verificare la presenza di metaboliti di sostanze stupefacenti. Si tratta di uno strumento che sottende un ragionamento di tipo causale che si fonda sul risultato empirico – l’evidenza – di una prova. Un approccio che si focalizza sugli errori e sulle mancan- ze degli individui, sull’attribuzione di una colpa che va rimossa e sanzionata. Una scelta che si basa sulla con- vinzione di poter gestire situazioni sociali complesse appoggiandosi a metodi empirici senza prevedere la natura del loro impatto sugli aspetti organizzativi, ma- nageriali e di contesto (4).

Si afferma invece la necessità di capovolgere la lo- gica di fondo, passando da interventi che fanno leva sul controllo dei singoli ad azioni che coinvolgano il contesto delle relazioni collettive per poi incidere sui comportamenti individuali. Le valutazioni di efficacia di tali interventi non possono essere avulsi dal contesto in cui si collocano. Si tratta di passare da interventi basati unicamente sui sintomi e sugli effetti di deter- minati comportamenti ad un rinnovato interesse per lo studio delle cause sociali di certi fenomeni, dei fattori che possono causare malessere (fattori di rischio) e di quelli che invece possono favorire una condizione di benessere e di salute (fattori di prevenzione) nel conte- sto lavorativo e sociale comunitario più ampio. Si trat- ta di porre la necessaria attenzione anche alla qualità della dimensione relazionale nell’ambiente di lavoro e

alla valorizzazione del capitale umano, di cambiare le condizioni in cui gli essere umani lavorano; di antepor- re alla logica del controllo quella di interventi più ampi di promozione della salute che allargano l’interesse alle scelte che il lavoratore attua.

Fra i programmi evidence based per la creazione e il mantenimento di condizioni che favoriscono un contesto di lavoro sano e sicuro in questa logica vi è il “Team Awareness Training For Workplace Substance Abuse Prevention” di Joel B. Bennett et al. Il program- ma mira a ridurre i fattori di rischio e a potenziare quelli di protezione nel contesto aziendale, nel sistema cultu- rale organizzativo, nel gruppo di lavoro e nel singolo lavoratore. L’elemento chiave è il gruppo come nesso tra processi individuali e organizzativi. Lavora infatti sulle dinamiche presenti all’interno dei gruppi di lavoro, puntando a rinforzare i legami sociali tra i colleghi per promuovere un ciclo positivo di atteggiamenti a sup- porto di abilità utili per affrontare i problemi. Così se un lavoratore si accorge o sospetta che un collega, o un suo familiare, abbia dei problemi (non solo legati alle dipen- denze), può sostenerlo e incoraggiarlo a chiedere aiuto. In una prospettiva di sanità pubblica si sottolinea il fatto che le aziende non possono focalizzarsi solo sulla sicurezza ma va rinforzata la salute dei lavoratori, delle loro famiglie e della comunità intera.

Per l’efficacia degli interventi nei contesti azien- dali, è fondamentale l’integrazione e la collaborazione strategica fra il maggior numero di attori in gioco, a partire da quelli del sistema socio-sanitario: chi si oc- cupa di promozione di stili di vita salutari, di preven- zione e sicurezza degli ambienti di lavoro, di benessere e conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, di aggancio precoce e cura a livello territoriale. Non solo: la più ampia promozione della salute in azienda è il risultato degli sforzi congiunti dei datori di lavoro, dei lavorato- ri e della società, volti a migliorare la salute e il benes- sere nei luoghi di lavoro.

Nell’ultimo secolo le aziende hanno visto aumen- tare le proprie responsabilità, anche normative, rispet- to alla salute e alla sicurezza dei lavoratori. Le sfide in questo campo sono ancora molte e legate alla gestio- ne della complessità della società che vede proliferare nuovi strumenti di policy, basati su prove empiriche, anche a seguito del fallimento di altri meccanismi. Occorre perciò riflettere maggiormente sul significato

L’evoluzione della prevenzione nei luoghi di lavoro 155

della loro introduzione in quanto non sono mai una questione meramente tecnica. Occorre considerare che c’è sempre un’influenza culturale rispetto a ciò che può essere considerato “evidence”. Fare mente locale su questa contraddizione può permetterci di navigare con cautela nel mare della “evidence based”, senza ri- nunciare a una visione più sfumata e sensibile ai fattori locali di contesto, ai valori e alla qualità delle relazioni.

Bibliografia

1. Sackett DL, Rosemberg WMC, Gray JAM, Haynes RB, Ri- chardson WS. Evidence based medicine: what it is and what it isn’t. BMJ 1996; 312(7023):71-2.

2. Desrosières A. Discuter l’indiscutable. In: Cottereau A, Ladrière P (eds.) Pouvoir et légitimitè. Paris : Editions de l’EHESS; 1992:131-4.

3. Weisz G. Body Counts: Medical Quantification in histori- cal and sociological perspective. Montreal: McGill-Queen’s University Press; 2005:377-93.

4. Catino M. Miopia organizzativa. Problemi di razionalità e previsione nelle organizzazioni. Bologna: Il Mulino; 2009.

Corrispondenza: Nadia Vimercati

ATS Milano Città Metropolitana E-mail: nvimercati@ats-milano.it

L’opera e il pensiero di Francesco Molfino (1905-1964)

Outline

Documenti correlati